l’impegno per gli ultimi del Centro Fernandes
di Antonio Casale

Tratto dal libro dossier "Donna Tratta...Ta": viaggio fra le cause, le vittime,
gli interventi possibili e la percezione sociale della prostituzione straniera coattain un territorio di frontiera - Ed.: Arcidiocesi di Capua - Osservatorio dell'immigrazione e del Disagio


1.3 - il “caso” Castel Volturno
Un testimone d’eccezione di quegli anni fu il sindaco Mario Luise che descrive
in maniera intensa e particolareggiata l’origine del fenomeno ed il suo sviluppo42.
42Mario Luise, Dal fiume al mare-un lungo viaggio tra gli spaesati di Castel Volturno, ESI 2001
“Gli extracomunitari, quelli importati per lavorare, erano
sul litorale già dagli anni settanta. Rimasti senza lavoro nel
corso degli anni ottanta – a seguito della crisi dell’attività
edilizia abusiva – si trovarono, rispetto ai bianchi, nella
maggiore necessità di sopravvivere quotidianamente. Costretti
ad emergere dal sottobosco sociale nel quale vivevano,
apparvero a tutti su quello stesso territorio dove da anni
avevano lavorato senza alcuna visibilità, che non fosse quella
che davano loro i cantieri edili. Così capitò che molti confluissero
nella manovalanza organizzata per lo spaccio di
droga e per la prostituzione, attività rese più produttive con
l’incremento demografico che si ebbe a seguito del terremoto.
La stessa cosa si verificò a Giugliano e a Villa Literno, dove,
fallita l’economia agricola legata alla coltivazione del pomodoro,
i negri si trovarono ad essere ingombranti, scomodi
e indesiderabili. Avendo seguito il problema degli
extracomunitari fin degli anni settanta, avevo continuato
ad interessarmene dall’opposizione.
La sconfortante conclusione delle riunioni di quegli anni consisteva
soprattutto nella grande difficoltà a prendere iniziative,
a passar dalle enunciazioni di principio sulla solidarietà,
ad una forte repressione della malavita che manovrava
la prostituzione e lo spaccio di droga.
Fare memoria di questi avvenimenti è di fondamentale importanza per capire
le cause reali del fenomeno, per individuarne le responsabilità e ricercare le
possibili soluzioni. Una strana tendenza di questo territorio è invece quella di
ripartire sempre da zero senza tener conto degli errori e dei successi del
passato. Nel 1994, infatti, vi fu una grande mobilitazione per affrontare in
“…Nel corso del 1994, invece, in tutte le sedi istituzionali, a
partire dalla prefettura di Caserta, dopo molti anni si faceva
strada la consapevolezza di dover rompere gli indugi per
evitare che il fenomeno degenerasse sempre più in forma di
grave sfruttamento, di razzismo organizzato e di disordine
pubblico.
Episodi di intolleranza si verificavano a Villa Literno, prima
con l’uccisione di Jerry Essan Masslo, e poi con l’incendio
del “ghetto”, una bidonville dove sopravvivevano nel fango
e nello sterco centinaia di extracomunitari. Altri ancora
a Genova, città del ministro Contri, allora responsabile del
dicastero degli affari sociali.
Gli incontri al ministero per l’esame delle varie questioni,
unitamente al prefetto Damiano, diventarono molto frequenti.
Il ministero, pressato dalle richieste, predispose un piano di
intervento per Castel Volturno affidandolo al generale Maier.
Nonostante alcune difficoltà contenute nella legge Martelli,
la Questura- prima con il questore Rosini, e poi con
Masrtolitto, riuscì a far rimpatriare migliaia di
extracomunitari.
La cronaca televisiva portava nelle case di tutti gli italiani
le immagini delle extracomunitarie di Castel Volturno che si
buttavano dalla scaletta dell’aereo per non partire. Nell’arco
di tre anni la presenza dei clandestini si ridusse gradualmente
da 13.000 a circa tre migliaia di persone. Gli spacciatori
di droga erano insediati particolarmente tra “Destra
Volturno” e “Pescopagano”, e avevano fatto di quella zona
il mercato più consistente tra la Campania ed il Basso Lazio.
modo radicale il sovraffollamento di Castel Volturno con qualche importante
risultato.
Dopo mesi di vera “caccia all’uomo” furono definitivamente
allontanati dalle forze dell’ordine. Come pure i cosiddetti
“fammisti”, questi disperati che spacciavano all’unico scopo
di procurarsi la droga per se. Li ricordiamo tutti: camminavano
in fila lungo la Domitiana, con una busta di plastica
in mano, e con un andamento da “zombi”. Le prime operazioni
di polizia risentirono delle assenze di una normativa
chiara e di procedure sicure: agli arresti facevano spesso
seguito le scarcerazioni, ed ai rimpatri un immediato ritorno.
“…E fu possibile fare molto in Destra Volturno, perché
dopo varie operazioni di polizia, in quella zona- memori degli
scontri sanguinari degli anni ottanta- nessuno affittò più
agli extracomunitari clandestini. Cosa che non avvenne altrove,
dove maggiormente si praticava la prostituzione.”
“…La situazione, intanto, migliorava a vista d’occhio, in
tutte le zone. Anche gli Iraniani – che commerciavano armi
nella zona di “Baia Verde” – erano stati allontanati. C’era
una presenza che era ormai rientrata nella fisiologia nazionale
del fenomeno. Per la prima volta, stavamo recuperando
bene nei confronti della clandestinità malavitosa. “
Tuttavia, la testimonianza del sindaco, dimostra chiaramente come il conseguimento
di questi buoni risultati fosse dovuto non solo a operazioni di polizia,
ma anche al controllo del territorio esercitato direttamente dai cittadini. Purtroppo,
però, allora come oggi, la tendenza è sempre quella di riporre maggiore
fiducia nell’azione di “caccia all’uomo” delle forze dell’ordine che in
riforme più generali dell’intero sistema, peraltro molto più difficili e lente da
realizzarsi. E intanto, la falsa e ricorrente illusione che un controllo poliziesco
del territorio possa da solo risolvere tutti i problemi porta inevitabilmente a
delusioni e sconfitte, come di seguito osserva lo stesso Luise.
“…La riduzione drastica del numero degli immigrati, dopo
anni di polemiche, era finalmente un risultato che la questura
dava come incontestabile.
Ma aveva creato anche qualche problema.
Infatti delegazioni di esercenti della Destra Volturno e Baia
Verde venivano al Comune a lamentarsi perché con la partenza
degli extracomunitari l’attività ne aveva risentito: specialmente
durante il periodo invernale gli extracomunitari
erano una clientela sicura, una risorsa. La contestazione,
però, continuava a scaricarsi su di noi, con lo stesso atteggiamento
speculativo ed aggressivo di sempre come se non
fosse avvenuto assolutamente nulla: negativa di ogni risultato”
E, così, finalmente, si fa strada l’idea di guardare oltre la logica della repressione
e incominciare a concepire un sistema integrato di risposte che puntano
ad un miglioramento complessivo del territorio in termini di legalità, di accoglienza,
di servizi e di cultura.
Il primo passo verso quest’inversione di tendenza si verificò proprio con l’istituzione
del Centro Fernandes al quale si dedicarono in maniera sinergica l’amministrazione
comunale e la Caritas di Capua.
Verso la metà degli anni Ottanta, sempre per problemi legati
all’immigrazione, era stato chiuso un edificio sulla
Domitiana, donazione della famiglia Fernandes, in cui si ricoveravano
senza alcun controllo, drogati, spacciatori e prostitute.
Ormai era ridotto a un letamaio, con gli intonaci
scorticati, le finestre divelte, i pavimenti coperti di rifiuti
umani. Eravamo convinti che un “centro di accoglienza”
nella realtà del litorale, potesse essere uno strumento utile,
un ponte tra la legalità e lo sbandamento degli immigrati.
Con il contributo della Regione e della “Caritas”, realizzammo
il recupero strutturale e la bonifica integrale dell’intero
fabbricato, ricavandone un moderno “centro” che, in
seguito fu dato in gestione alla curia di Capua. L’opposizione
consiliare fu violenta e votò contro la convenzione.
Il “Centro Fernandes” – uno dei pochi funzionanti in
Campania – diventò subito il simbolo della solidarietà ( e
dell’intolleranza!). Furono gli stessi extracomunitari ospitati,
a costituire – nei momenti più difficili – un vero argine
contro spacciatori, sfruttatori della prostituzione e provocatori
locali evitando, insieme a noi, che Castel Volturno, fosse
ingiustamente qualificato come un paese di razzisti e che
si ripetesse anche a noi l’esperienza dell’incendio del “ghetto”
di Villa Literno.
La strada era stata tracciata, ma occorreva percorrerla tutti insieme con tenacia
e convinzione senza cedere di nuovo a scorciatoie propagandistiche o
false promesse.
Castel Volturno, invece, finiva sempre sulle prime pagine
con la faccia peggiore, perché puntualmente anche le azioni
positive venivano tutte sommerse dalle polemiche e da fatti
di cronaca nera e di intolleranza. Un Tam-Tam quotidiano.
Prima o poi, questa continua e ossessiva attività, anche se
redditizia sul piano della speculazione politica era naturale
che esasperasse i cittadini ed esplodesse in manifestazioni di
collera. Il ritorno alla normalità c’era chi lo ostacolava fortemente.
Si protestava, ma intanto c’era, tra la gente – proprio
nelle zone più calde – chi continuava a dare in affitto a
spacciatori e prostitute, angusti appartamenti a prezzi e a
condizioni capestro; a facilitare nuovi ingressi e a sostenere
così lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio della
droga da parte della camorra.
L’avventura del Centro Fernandes, così, è andata avanti tra mille difficoltà e
incomprensioni, ma sempre sostenuta con fedeltà ed impegno dalla Chiesa di
Capua che ne ha fatto un simbolo di solidarietà e di pace.


1.4 - il Centro Fernandes: una scommessa sul futuro
Nel 1996, dunque, sulla spinta della legge Martelli, con un contributo regionale
ed una convenzione con il Comune, la diocesi inaugurò il Centro denominato:
Centro Immigrati Campania, “Donazione Fernandes” , struttura di
accoglienza per immigrati sorta sulle rovine di un grande edificio precedentemente
destinato alle vacanze estive dei minori in difficoltà dell’opera Don
Guanella. Il Centro nacque come risposta alla logica dei ghetti e dell’accoglienza
selvaggia che aveva devastato il comune in tutti gli anni precedenti.
Si disse che a fronte di una capillare azione di pulizia del territorio bisognava
offrire ospitalità adeguata a chi ne avesse veramente bisogno e fosse in condizioni
di legalità. Furono perciò creati 20 posti letto riservando un grande
spazio ai servizi accessori quali: ambulatorio medico, sala mensa, uffici di
consulenza legale e amministrativa, aule per l’apprendimento della lingua italiana.
Si pensava soprattutto di offrire una opportunità ai rappresentanti delle
varie etnie ed alle istituzioni presenti sul territorio per momenti di incontro e di
formazione che aiutassero a creare le condizioni di una civile convivenza.
Nell’intenzione dei fondatori, dunque, tutto questo lavoro doveva nascere da
una profonda sinergia tra Ente comunale e Chiesa quale presupposto di una
nuova presa di coscienza del fenomeno immigrazione a Castel Volturno e
volano per la realizzazione di progetti e servizi utili al recupero della vivibilità.
A questa filosofia di integrazione e di promozione umana e sociale, infatti, era
collegata l’istituzione presso il Centro di uno sportello “Informagiovani” e
di un “Osservatorio permanente del disagio e dell’immigrazione”43 ,
due servizi comunali rivolti ai giovani ed agli operatori di Castel Volturno che
potevano trovare nella moderna, ampia ed accogliente struttura un felice terreno
di incontro con altre culture ed altre lingue eccezionalmente adatto alla
formazione culturale e professionale delle nuove generazioni.
Tuttavia, tale innovativa impostazione, che poteva diventare un esempio a
livello nazionale, non ha trovato nelle amministrazioni il dovuto riconoscimento
relegando l’impegno del Centro ad attività privata e solitaria, sostenuta
prevalentemente da progetti di livello regionale e provinciale.
Così facendo si è persa una storica occasione per prevenire, monitorare e
guidare i flussi selvaggi di immigrazione che sono attratti sul territorio dall’assenza
di controlli, dagli abusi di ogni tipo, dalla dispersione di idee e di
progettualità positive. Sta di fatto che negli ultimi due anni la popolazione
immigrata è aumentata esponenzialmente andando a riempire le immense sacche
di degrado che esistono nelle periferie.44
A fronte di tutto ciò, il Centro Fernandes è rimasto l’unico punto di riferimento45
per tutti coloro che volessero misurarsi col grande problema dell’immigrazione
in termini di solidarietà, di studio, di progettualità.
Dal giorno della sua apertura ad oggi ha ospitato più di 3000 immigrati e ha
offerto una serie qualificata di servizi affermandosi nel territorio circostante e
nel contesto regionale come uno dei poli più significativi nel campo della complessa
e dinamica realtà dell’immigrazione.
43 I due servizi hanno funzionato presso il Centro durante l’amministrazione del Commissario prefettizio, dott.
Cacciaperugini, che scevro da interessi partitici e ideologici, aveva rinnovato la Convenzione con la Diocesi per la
gestione del Centro Fernandes ed il funzionamento dei servizi stessi. Nonostante il risultato dell’attività fosse eccellente,
con l’utilizzo di molti giovani volontari, la nuova amministrazione insediatasi dopo il commissariamento non
rinnovò la convenzione facendo morire anche il servizio Informagiovani che non è stato mai più ripreso privando i
giovani di Castel Volturno di un servizio fondamentale.
44 Parliamo di un’immensa massa di disperati venuti in Italia come richiedenti asilo ( vedi paragrafo seguente). Dopo
l’esperienza positiva degli anni 94, dunque, le zone di Destra Volturno e Pescopagano sono tornane di nuovo ad essere
invase di poveracci.
45 Non parliamo, qui, dell’opera meritoria del Centro Laila solo perché la sua azione è specificamente rivolta ai minori.
Gli archivi del Centro conservano gelosamente storie, fotografie, lettere, documenti
che testimoniano la vasta attività di questi anni e soprattutto la sua
funzione di guida ed orientamento. Delle centinaia di ospiti, infatti, solo una
percentuale irrilevante è rimasta sul territorio, mentre la quasi totalità è stata
aiutata a trasferirsi altrove attraverso una fitta rete di contatti con altre caritas
e agenzie di lavoro.
Con un ingente impegno economico e con lo spiegamento di notevoli risorse
umane tratte dal ricco mondo del volontariato, laico e religioso, il Centro
Fernandes ha saputo dare risposte ad una moltitudine di problematiche che
disegnano la mappa del disagio nell’area domitia: dall’immigrazione all’irregolarità
diffusa, dalla tossicodipendenza alla prostituzione, dal disorientamento
giovanile alla disoccupazione, dalla indigenza alla malattia, dal disagio minorile
a quello mentale. La presenza sul territorio di questo “polo sociale”, aperto a
360 gradi sull’emarginazione, ha segnato una svolta nel modo di sentire la
presenza delle istituzioni e della Chiesa. Da una solidarietà “d’emergenza”,
fornita prevalentemente da strutture parrocchiali o associazioni di volontariato
più sensibili, si è passati ad un vero e proprio presidio socio-sanitario capace
di risposte immediate, ma anche di elaborazione culturale e di propulsione
politica.
Solo negli ultimi due anni dagli ospedali, dalla locale clinica Pinetagrande,
dalle forze di polizia, dai servizi sociali, sono stati segnalati più di 60 casi di
persone a cui è stato offerto non solo l’alloggio e sostegno psicologico, sanitario
e materiale.
Convegni, mostre, seminari di studio hanno accompagnato costantemente
l’opera di assistenza conferendo alla concreta azione umanitaria un profondo
spessore culturale ed un’ampia prospettiva di recupero.
L’istituzione, presso il Centro di una parrocchia “ad personam” , solo per gli
immigrati, ha accentuato, a partire dal riconoscimento e rispetto delle differenze,
l’aspetto della integrazione sociale, convogliando verso di esso un afflato
di simpatia e di calore spirituale.
Con un ‘azione difficile e spesso isolata si è potuto realizzare un punto d’ascolto
ed un ambulatorio aperti quasi tutti i giorni, nonché una mensa ed un consultorio
che ha consentito di avvicinare molte donne di strada ed avviare al recupero
in comunità un buon numero di giovani immigrati, restituendo loro una vita
dignitosa ed aperta al futuro46 .
In occasione del giubileo 2000, è stata aperta anche la casa S.Maria dell’Accoglienza
per l’accoglienza delle donne in difficoltà (malate, incinte, ex
prostitute) animata da tre suore nigeriane, venute proprio per svolgere questa
missione e sostenute economicamente dall’Arcidiocesi di Capua.
Più di 60 ragazze, di cui la gran parte provenienti dal litorale, sono state tolte
dalla strada e avviate al lavoro in varie regioni d’Italia.
Ciò che non è stato possibile con le tanto invocate retate di polizia o altre
fantomatiche operazioni di “risanamento”, è riuscito invece agli operatori volontari
con tenacia silenziosa e discreta.
Se questo lavoro fosse adeguatamente supportato da tutte le istituzioni locali,
nel rispetto delle rispettive competenze, sicuramente in pochi anni il volto di
Castel Volturno cambierebbe trasformandosi in un modello per molte altre
realtà nazionali.
Per questo motivo, il Centro Fernandes ha stabilito un dialogo costruttivonon
solo con le autorità provinciali, regionali e sanitarie, ma anche con tutte le
associazioni di volontariato specializzate nel campo dell’immigrazione. Il Centro,
infatti, vuole configurarsi non tanto come un’associazione “in concorrenza”
con altre, ma piuttosto come una struttura di servizio aperta a più contributi.
47
Grazie a questa scelta di fondo si è potuto instaurare un felice rapporto di
collaborazione con tante associazioni italiane ed etniche, in particolare con
l’associazione Jerry Essan Masslo, di cui è presidente il dott. Renato Natale,
alla quale è stato affidato il delicato compito di gestire l’attività ambulatoriale
46 Vedi di seguito la scheda sul progetto “Fratello Riconosciuto”.
47 E’ questa la peculiare vocazione della Caritas: essere organismo di promozione umana e culturale per la crescita
globale di ogni realtà sociale.
del Centro. Da questa feconda e permanente collaborazione è nato un vero e
proprio presidio socio-sanitario per la cura, la prevenzione e lo screening
delle patologie degli immigrati. In molti casi si sono potute diagnosticare appena
in tempo malattie altrimenti letali per il soggetto e monitorare l’andamento
di quelle pericolose per la salute pubblica48 . Da qualche anno si è
aggiunta la collaborazione dell’ass. I.S.CE che gestisce l’ambulatorio
odontoiatrico. Vi prestano la loro opera altamente qualificata e gratuita, il
dott. Girolamo Cangiano che si avvale anche dei suoi assistenti, e il del dott.
Francesco Sellitti.
Tutti i volontari del Centro, i padri missionari, le suore italiane e straniere,
hanno preso contatti personali con gli immigrati direttamente sulla strada o nei
luoghi di lavoro e di vita, nel tentativo di offrire loro un punto di riferimento, un
luogo a cui rivolgersi nel momento del bisogno ed una scuola permanente di
legalità e di integrazione sociale. Tale intenso lavoro ha trovato anche una sua
elaborazione culturale e scientifica attraverso la pubblicazione di rapporti periodici
intitolati: “Osservatorio del disagio e dell’immigrazione” edito dal Centro
Fernandes.
Il Centro Fernandes ha tuttavia ancora bisogno di consolidare la sua presenza
sul territorio con segni chiari e strumenti validi che ne vedano riconosciuto
il suo importante ruolo di cerniera tra le istanze della popolazione immigrata,
lavoratrice e svantaggiata, e le legittime aspirazioni della popolazione residente
a recuperare vivibilità e pace sociale.


1.5 - l’attivita’ del Centro Fernandes tra il 2002 e il 2004
La vita del Centro Fernandes dalla fine del 2002 al 2004 è stata particolarmente
segnata dall’improvviso ed imprevedibile arrivo a Castel Volturno di
centinaia di immigrati con regolare permesso di soggiorno per richiesta di
48 I dati scientifici di questo importante lavoro sono periodicamente pubblicati dall’associazione J.E.Masslo.
49 Fino ad allora l’immigrazione sul nostro territorio sembrava essersi assestata sui soliti fenomeni di “disagio” (tossicodipendenti,
prostitute…), di “ritorno” (fase intermedia fra esperienze lavorative in altri luoghi) e di “richiamo”(amici,
parenti…). Fenomeni persistenti, ma con marcata tendenza a diminuire. E’ interessante notare come in tutta la Campania
sul finire del 2002 si registri una tendenza a decrescere della popolazione immigrata (Dossier Caritas 2003).
asilo politico provenienti dai campi di accoglienza di Crotone, Lecce, Siracusa,
Agrigento. Nella tabella che segue, relativa alle ospitalità, si può vedere come
vi sia un aumento esponenziale degli immigrati dalla Liberia. A ritmo quotidiano
ed a qualunque ora si presentavano alle porte del Centro dai 7 ai 15
immigrati alla volta con un misero bagaglio di borse di plastica e la necessità
impellente di accoglienza. Erano prevalentemente giovani maschi, ma non
mancavano donne sole o con bambini anche piccolissimi. In quei mesi freddi
dell’ottobre 2002 tale situazione metteva letteralmente in crisi la capacità di
accoglienza del Centro, non superiore alle 30 unità. Provenivano da varie
zone di guerra dell’Africa, ma la maggioranza si dichiarava liberiana. Era chiaro
che ci si trovava di fronte ad un fenomeno totalmente nuovo.49
Cosa stava succedendo? Che cosa richiamava sul territorio persone senza
nessun rapporto con gli immigrati presenti e titolari di ogni diritto per poter
essere assistiti sia nei luoghi di prima accoglienza che in qualunque altra parte
del territorio nazionale? Perché venivano proprio qui a Castel Volturno nonostante
l’assenza di qualunque possibilità di accoglienza ed anche di lavoro?
Perché le prefetture di Crotone, Agrigento, Lecce ecc. dopo aver rilasciato
un permesso di soggiorno che prevede l’assistenza totale a carico dello stato,
lasciavano che tali persone si disperdessero sul territorio nazionale con grave
pregiudizio per la loro sopravvivenza, per il corretto espletamento delle procedure
di asilo e soprattutto per un’adeguata integrazione sociale?
Mentre ci facevamo queste domande aumentava di giorno in giorno la richiesta
di servizi come la mensa e l’ambulatorio medico da parte di persone sempre
nuove. Prima 50, poi 100, poi 200 ragazzi in fila ogni sera per avere un
pasto caldo.
La situazione stava diventando veramente esplosiva. Il fatto che il Centro non
avesse che una ventina di posti letto disponibili non aveva affatto scoraggiato
il continuo arrivo di immigrati a Castel Volturno. A tutti quelli che non potevamo
accogliere davamo qualche indirizzo o un numero di telefono fino a organizzarci
con un elenco stampato di Centri di accoglienza regionali e nazionali.
Successivamente pensammo di iniziare una vera e propria campagna di
sensibilizzazione con volantini in lingua per scoraggiare l’arrivo sul territorio
spiegando le grandi difficoltà di inserimento e le varie possibilità di trasferirsi
altrove utilizzando le prerogative del soggiorno per “richiesta di asilo politico”.
Nonostante ciò le persone continuavano ad arrivare ed anche quelli che
avevano ottenuto la nostra ospitalità dopo pochi giorni lasciavano il Centro.
Era ormai evidente che Castel Volturno esercitava un forte attrattiva per questi
disperati. Come in tempi più remoti si stava creando qualche “zona franca”
destinata a diventare un esplosivo agglomerato di povertà ed emarginazione.
L’Arcivescovo di Capua mandò una lettera appello al sottosegretario
Mantovano premurandosi di indicare anche delle possibili iniziative. Ma al di
là di questo intervento premuroso e coerente dell’arcivescovo nessuna altra
autorità sembrava accorgersi del problema.50
Per questo motivo insieme all’associazione J.E. Masslo pensammo di lanciare
immediatamente una pubblica denuncia al Prefetto ed al Sindaco di Castel
Volturno51 perché nessuno potesse poi giustificare le proprie inadempienze o
trovare facili capri espiatori. Quella “lettera aperta” resta oggi un documento
storico importantissimo alla luce degli episodi di intolleranza e di
strumentalizzazione che in seguito si sono verificati.
Ed infatti poco tempo dopo la nostra “lettera aperta” la prefettura convocò
una riunione nel corso della quale, alla presenza del sindaco, potemmo additare
nell’ assoluta mancanza di controllo sul mercato dei fitti e sulle condizioni
di vita negli appartamenti la vera causa del sovraffolamento di Castel
Volturno. Qualche mese dopo un manipolo di cittadini inscenò una volgare
50 Unico effetto dell’iniziativa del Vescovo fu l’insediamento provvisorio della Commissione Nazionale Asilo a Caserta
per esaminare le richieste dei richiedenti insediatisi sul territorio. Tale iniziativa di per sé meritoria perché tesa a
eliminare lo status ibrido di tanti ragazzi per spingerli a integrarsi su tutto il territorio nazionale meritava di essere
associata ad altre iniziative di sostegno e di orientamento.
51 La lettera aperta è riportata di seguito.
manifestazione alle porte del Centro per chiederne la chiusura e lanciare vergognose
invettive persino contro il Vescovo di Capua.
Era chiaro che fosse iniziata una lucida strumentalizzazione del fenomeno che
avrebbe potuto generare pericolosi scontri sociali se il Centro non avesse
assunto una posizione di grande equilibrio e distacco. In ogni caso la “lettera
aperta” resta un documento inconfutabile non solo della nostra estraneità al
fenomeno, ma al contrario del nostro grande impegno per prevenirlo e risolverlo.
Evidentemente, però, a qualcuno faceva comodo far credere che il
problema non era nella complessa realtà di degrado e abusivismo di Castel
Volturno, ma semplicemente nell’opera di accoglienza della Caritas.52
Sembrava essere tornata l’epoca della prima ondata migratoria a Castel
Volturno, sul finire degli anni ’80, quando il Centro Fernandes ancora non
esisteva.53
Eppure nonostante l’esperienza di quegli anni ormai lontani nulla sembrava
cambiato. E così, anche questa volta, il fenomeno è stato pian piano assorbito
dal territorio in quelle miriadi di formazioni carsiche sotterranee pronte a
riemergere nelle mille forme di devianza e disagio che conosciamo bene.
Si può dire, però, con un certo orgoglio, che almeno oggi esiste il Centro
Fernandes come memoria storica e punto di elaborazione critica degli avvenimenti.
Per questo motivo siamo fiduciosi che in un prossimo futuro le amministrazioni
locali sappiano valorizzare questi sforzi e contribuire a migliorarne
gli effetti per il bene ed il futuro della città.
52 Per la verità ci fu chi utilizzò la presenza sul territorio di tutta questa massa di disperati come strumento di lotta
politica e di scontro. Ma ciò non aveva niente a che fare con l’attività della Caritas.
53 In quel tempo per porre un qualche argine alla disperazione di tanti uomini venuti da lontano senza nulla si era levata
solo la mano amorosa di un parroco e di qualche medico coraggioso. Allora come oggi, però, nell’assenza totale di ogni
intervento pubblico, la testimonianza di amore fraterno della Chiesa non bastò a evitare che tale miseria umana potesse
diventare preda delle strumentalizzazioni più feroci di ogni genere. La malavita se ne serviva per ingrossare le fila della
sua manovalanza. L’abusivismo di ogni tipo per fare facili guadagni sul lavoro nero e sui fitti selvaggi. Le masse
insoddisfatte e deluse per trovare un facile “capro espiatorio” ai loro disagi. Alcune frange estremistiche ed ideologiche
per trovare nuovi argomenti di lotta.

1.6 - i progetti e le prospettive
La descrizione del panorama complessivo entro il quale si è mossa l’attività
del Centro negli ultimi anni serve a chiarire quale sforzo aggiuntivo di elaborazione
culturale e politica è richiesto a chi opera in questa parte del nostro
territorio provinciale.
A questo lavoro complementare si deve la partecipazione a organismi provinciali,
regionali e nazionali, ad alcuni importanti progetti, privati o istituzionali,
nonché la realizzazione di convegni e la collaborazione a numerose pubblicazioni.