Sergio Serraino, Medici Senza Frontiere "Missione Italia"

 

Ci racconti quando hai cominciato la tua attività a favore degli immigrati?

 

 

Mi sono scontrato con il fenomeno migratorio una decina di anni fa. Facevo parte del coordinamento delle associazioni trapanasi per la Pace, nato durante la guerra in Kossovo – all’epoca dall’aereoporto di Birgi partivano gli aerei da guerra per la ex-Jugoslavia. A Trapani nel 1998 era stato istituito il CPT Serraino Vulpitta. Cominciammo a seguire il CPT perché fin dall’inizio c’erano state delle rivolte. Il centro era una ex casa di riposo adibita poi a CPT ed all’inizio non c’era neanche un limite di persone che potevano essere “ospitate”nella struttura, c’erano quindi centinaia e centinaia di persone. Nella notte tra il 28 ed il 29 dicembre del 1999 ci fu un rogo in seguito ad un tentativo di rivolta durante il quale i poliziotti chiusero gli immigrati nelle stanze, in una stanza fu dato fuoco a dei materassi, non furono trovate le chiavi, e così morirono sei ragazzi, tre subito ed altri tre a distanza di tempo in ospedale.

In quella occasione la nostra associazione denunciò il prefetto di Trapani, presentando un esposto in procura per omicidio plurimo colposo, omissione di atti di ufficio e lesioni gravi. Poi al processo il prefetto è stato assolto.

Subito dopo la tragedia abbiamo ottenuto dalla prefettura la possibilità di entrare come organizzazione indipendente, naturalmente non remunerata, per monitorare la situazione nel centro e per fornire assistenza legale nel caso in cui ce fosse bisogno. Potevamo effettuare un ingresso settimanale, così per due anni sono entrato una volta a settimana in quello schifo di centro. C’è un libro bianco, curato da me e da un’altra persona, (n.d.r. disponibile anche su internet al sito www.meltingpot.org) sulla situazione del Vulpitta.

Avevamo uno sportello di assistenza legale poi mi sono spostato a Palermo, dove studiavo. Ho cominciato a lavorare in uno sportello per immigrati di un centro salesiano che si chiama “Santa Chiara”, un punto storico a Palermo, che ha cominciato a lavorare dal 1985 con gli stranieri, aprendo un ambulatorio per gli immigrati, in pratica quando ancora gli immigrati non esistevano per lo Stato. Quindi la prima attività che è stata fatta è stato l’ambulatorio e poi si è partiti con lo sportello legale, poi è stato realizzato un centro d’accoglienza che è stato per anni uno dei punti di riferimento in Sicilia, anche perché c’era un prete veramente progressista, ora invece è cambiata la dirigenza anzi la situazione è peggiorata. Poi ho cominciato a lavorare con Medici Senza Frontiere e da un anno mi trovo qui in Campania.

Palermo è una città dove c’è una grossa presenza di stranieri. Ci sono due grossi centri, uno è quello dove ho lavorato io e l’altro è della missione “Speranza e Carità” di Biagio Conte, una struttura che d’estate arriva ad ospitare fino a 700 persone. Il centro ha dei capannoni ristrutturati dagli immigrati, anche se le condizioni sono abbastanza pesanti per il sovraffollamento, per tutto quello che poi deriva dalla convivenza…Era un’area dei carabinieri, una zona militare che Biagio Conte ha occupato, poi hanno fatto un accordo per cui metà è rimasta ai carabinieri e l’altra metà è gestita dalla missione.

 

 

 

Qual è l’attività che state svolgendo sul territorio campano?

 

 

 

Medici Senza Frontiere, “Missione Italia”, ha sviluppato dei progetti in Calabria, in Puglia ed in Sicilia. Attualmente abbiamo due progetti nel sud Italia, in Sicilia ed in Campania.

L’attività in Sicilia,ad Agrigento, comprende degli ambulatori per stranieri STP, stranieri temporaneamente presenti ovvero senza il permesso di soggiorno; a Lampedusa c’è una presenzafissa dove facciamo assistenza agli sbarchi con i medici della nostra organizzazione che entrano nel centro di prima accoglienza a visitare gli immigrati, per garantire una prima assistenza sanitaria. La legge 286 del ‘98 dà la possibilità di garantire l’assistenza sanitaria anche agli stranieri irregolari, quello che Medici Senza Frontiere ha voluto fare è fare applicare questa legge. Quindi abbiamo stipulato delle convenzioni a titolo gratuito con le ASL, nel senso che noi operatori siamo tutti pagati da Medici Senza Frontiere, con l’obiettivo di attivare degli ambulatori, per poi passarli alle ASL che dovranno individuare un medico di base dell’ASL, perché noi facciamo medicina di base, al posto del nostro medico. Le ASL dovrebbero poi fare delle convenzioni con delle associazioni per fornire la mediazione all’interno degli ambulatori.

Abbiamo iniziato con l’ASL Napoli 2, poi il progetto si è esteso anche all’ASL Caserta 2. Abbiamo iniziato su Villaricca, Melito e Marano. Villaricca e Melito sono già stati passati all’ASL, la cooperativa Dedalus si occupa della mediazione culturale. Stiamo passando Marano e passeremo a breve anche Pozzuoli. A Quarto l’ASL ha cominciato già con dei medici loro, la stessa cosa è avvenuta a Lago Patria, dove Medici Senza Frontiere non c’è mai stata, perché ci sono sempre stati i medici dell’ASL e la cooperativa Dedalus per la mediazione. Sull’ASL Napoli 2 devo dire che da parte dei responsabili abbiamo trovato sempre molta disponibilità,che infatti vogliono allargare questo progetto aprendo altri sportelli. Con l’ASL Caserta 2 operiamo a Castel Volturno, San Cipriano, Villa Literno ed Aversa e speriamo di passare all’ASL gli ambulatori entro il 2009. Rimarremo quindi per la mediazione e per l’Hand Over.

Abbiamo due aperture settimanali con due medici a Castel Volturno, uno all’ambulatorio ed un altro per le donne al distretto sanitario, il lunedì ed il mercoledì; il martedì pomeriggio siamo a San Cipriano con un medico, il venerdì mattina a Villa Literno mentre ad Aversa siamo il giovedì pomeriggio con il nostro medico. Ad Aversa prima che arrivassimo noi c’erano già dei medici volontari che avevano attivato un ambulatorio STP, il lunedì ed il venerdì mattina, quindi loro continuano a svolgere l’attività che facevano prima mentre noi diamo solo l’appoggio della mediazione.

Per il 2008 Medici Senza Frontiere ha come progetto fondamentale la salute materno-infantile. Stiamo stipulando dei protocolli d’intesa con le ASL per iniziare una attività dentro i consultori, fornendo mediazione e prevedendo almeno una giornata di apertura con la presenza dei mediatori, dedicate agli stranieri che non parlano italiano. A Castel Volturno abbiamo già una mediatrice culturale nel consultorio con il ginecologo.

Da parte dell’ASL Napoli 2 c’è stata una volontà propositiva. Da parte dell’ASL Caserta 2 la risposta c’è stata, nel senso che stiamo lavorando quindi non c’è nessun problema, però è più difficile, anche per i problemi dell’ASL che sono diversi rispetto a quelli della Napoli 2.

 

 

 

Quali sono le attività che svolgete per le ASL?

 

 

 

Noi abbiamo degli ambulatori dedicati di medicina di base, quindi il primo approccio con il sistema medico per lo straniero senza il permesso di soggiorno è nei nostri ambulatori, che funzionano come il medico di base per un italiano o per uno straniero regolare. In pratica la persona viene qua, noiprepariamo la sua cartella, prepariamo la dichiarazione di indigenza e di essenzialità della cura, con le quali vanno a ritirare la loro tessera STP agli uffici dell’anagrafe sanitaria dell’ASL, dopodiché se il medico ritiene opportuno che questa persona debba fare degli accertamenti specialistici - come può essere l’esame del sangue, oppure la radiografia, come la visita dallo pneumologo, dal dentista, dall’oculista oppure una operazione chirurgica di ernia - si fa la ricetta rossa e si invia la persona per la consulenza specialistica. Dopodiché se c’è da fare una operazione la fa, oppure riceve l’indicazione della terapia che deve seguire.

 

 

 

 

 

 

Quali sono le maggiori problematiche sanitarie che avete riscontrato nel vostro lavoro qui in Campania?

 

 

 

Le principali problematiche sanitarie sono collegate alle condizioni di dignità e di lavoro, quindi per gli uomini: dolori muscolari, dolori alla schiena, problemi pneumologici, bronchiti; collegati sia alle condizioni in cui vivono, in case sovraffollate, umide, senza riscaldamento; sia alle condizioni di lavoro pesante che fanno, mentre per le donne si tratta di problematiche di tipo ginecologico fondamentalmente. Niente di “esotico” quindi, se si ammalano di malattie come la tubercolosi, ad esempio, è perché la prendono qui, a causa delle condizioni in cui vivono qui. I malati di HIV sono nella media italiana, vengono seguiti nell’ospedale “Sant’Anna” di Caserta oppure al “Cotugno” a Napoli.

 

 

 

Da dove provengono principalmente gli immigrati che si rivolgono ai vostri ambulatori?

 

 

 

A Castel Volturno la presenza principale è ghanese e nigeriana. Ad Aversa abbiamo presenze provenienti un po’ da tutto il maghreb, ma la maggior parte dei nostri pazienti sono donne ucraine. A San Cipriano la situazione è più mista e c’è, oltre alla presenza di magrebini, anche chi proviene dall’Africa subsahariana con parecchi francofoni, come i burkinabè e gli ivoriani, ma anche anglofobi come i ghanesi; molti sono anche rumeni e dell’Est Europa, come l’Ucraina, la Russia e la Moldavia. Invece su Marano c’è una grossa presenza di donne e di uomini bulgari. Anche a Mondragone i nostri pazienti sono principalmente donne bulgare.

 

 

 

Ritieni che queste presenze differenziate sul territorio corrispondano ad una sorta di specializzazione etnica del mercato del lavoro?

 

 

 

Si, nei centri urbani più grandi, come Pozzuoli ad esempio,vengono da noi principalmente donne dell’Est che lavorano nelle case come badanti. Anche ad Aversa è così, dove c’è comunque una comunità magrebina che è radicata nel territorio, impegnata principalmente nelle attività edili ed in agricoltura, nel settore ortofrutticolo. C’è poi una comunità che si rivolge ai nostri ambulatori, anche se bassa nei numeri, che sono gli indiani che lavorano nell’allevamento bufalino e si trovano tutti nella zona di Castel Volturno, Villa Literno e Cancello Arnone. Gli indiani, per motivi di orario e di ritmo di lavoro, hanno difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria, perché non hanno orari di lavoro e magari è possibile pure che se stanno male il datore di lavoro si organizzi per trovargli un medico. E’ una comunità che esiste, anche se non appare dai numeri.

 

 

Il vostro intervento sanitario dedica una attenzione specifica anche all’eventuale presenza di casi di disagio psichico?

 

 

 

Con l’Asl Napoli 2 abbiamo degli incontri mensili con i medici che lavorano nei centri di salute mentale. Abbiamo iniziato un progetto insieme a loro, predisponendo delle particolari schede di accesso che potrebbero segnalare un problema di salute mentale. Abbiamo predisposto una scheda che si chiama “Warning Signs” per la quale, in base a come rispondono alle domande, si potrebbe individuare un problema di salute mentale da approfondire. Questo progetto è andato abbastanza bene, nel senso che c’è stato particolare interesse da parte dei medici. Il problema della salute mentale è che ci sono medici più aperti rispetto all’etnopsichiatria, e medici che affrontano la questione solo in modo farmacologico, basandosi esclusivamente sulla diagnostica statistica di scuola occidentale.

 

 

 

Nei casi di disagio psichico che hanno richiesto un intervento specialistico, quali sono le caratteristiche principali che avete evidenziato?

 

 

 

Ci sono problemi legati alle ragioni per le quali si è scappati dal paese, situazioni che riguardano i rifugiati o i richiedenti asilo, come i disturbi postraumatici dovuti a quello che hanno vissuto, alla violenza, se gli hanno ammazzato i familiari…Ci sono poi ragazzi che manifestano disturbi perché convinti di avere il juju - che è una specie di voodoo o di malocchio -, e riferiscono questo malessere a qualcosa di innaturale. In questi casi abbiamo riscontrato una attenzione adeguata da parte degli psichiatri. Il problema però è che c’è bisogno di una mediazione adeguata che non c’è nelle strutture sanitarie ed i nostri mediatori purtroppo non possono andare dietro tutti. C’è quindi una mancanza di questo tipo. Comunque alla stato attuale non vediamo il disagio psichico come una emergenza, non ci sono stati parecchi casi. E’

vero però che si potrebbe fare molto di più. Il mediatore è fondamentale non solo per una questione linguistica ma anche per una questione di conoscenza della cultura, per poter interpretare cose che se il medico non conosce non potrà mai comprendere. L’approccio tra l’altro è abbastanza difficile anche se ci sono dei medici preparati.

 

 

 

Medici Senza Frontiere da anni dedica una attenzione particolare alla vicenda del lavoro nero in Italia, ci racconti la tua esperienza?

 

 

Il progetto “Stagionali” è stato fatto nel 2004 per la prima volta, ha una unità mobile che gira praticamente andando dietro alle stagioni. E’ stato a Latina, nella zona delle bufale del salernitano, a s. Nicola a Varco, poi si è spostato in Puglia per la raccolta dei pomodori, a Rosarno per la raccolta delle arance e dei mandarini, in Sicilia per la raccolta dell’uva. Il progetto segue i movimenti dei lavoratori stagionali. Nel 2004 abbiamo visto una situazione veramente disastrosa. Nell’ultimo rapporto “Stagionali” quello che si è visto è che dove sono stati attivati gli ambulatori per stranieri temporaneamente presenti la situazione è migliorata, perché comunque l’assistenza viene garantita, le condizioni però sono simili o addirittura peggiori rispetto a quelle riscontrate due anni prima, cioè le condizioni in cui la gente vive e lavora non sono cambiate per niente anzi sono peggiorate.

 

 

 

Con l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea avete riscontrato un cambiamento da parte dei datori di lavoro, che magari privilegiano lavoratori di queste nazionalità per evitare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina?

 

 

 

Si, i ragazzi magrebini ad esempio ci dicono che è più facile che la mattina quando vanno in piazza o nelle rotonde per cercare lavoro a giornata, trovano più facilmente lavoro i rumeni, ci dicono anche che secondo loro avviene anche perché “ci sono le donne”. C’è una concorrenza a ribasso. Anche per il datore di lavoro non c’è il rischio di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché sono cittadini europei, se vengono denunciati quindi rischiano solo il reato di assunzione di mano d’opera in nero. Risolvono un problema. Su “un mondo a colori”, la trasmissione di Raitre le cui puntate possono anche essere viste sul sito (N.d.R. su www.unmondoacolori.rai.it ), c’è un video su Vittoria, provincia di Ragusa, che è una città come Mazara del Vallo, dove c’è una immigrazione tunisina storica, che racconta di come ad un certo punto si sia arrivati proprio allo scontro fisico con i rumeni e i bulgari per la concorrenza al ribasso sul lavoro a giornata. L’unica responsabilità ovviamente non è dei rumeni o dei bulgari, ma è dei “padroni”.

 

 

 

Nella tua esperienza sul litorale domizio che idea ti sei fatto di posti come Castel Volturno? Che fanno e come vivono gli immigrati? E che rapporti hanno con gli italiani?

 

 

 

Lungo tutta la domiziana ci sono zone dove sono in grandissima maggioranza africani, tranne nel centro di Castel Volturno dove sono tutti italiani. Pescopagano è una zona di villette estive dove d’inverno trovi molti più africani rispetto all’estate. Anche a Pineta Mare ci sono delle grosse comunità, tant’è che conosco la zona con i nomi africani dei posti, perché ci sono delle zone che ormai hanno dei nomi africani. Ad esempio dove c’è il “bar Antonio”, che è un punto di riferimento per gli italiani, per gli africani è “back of Moabi”, perché lì c’era un discount che si chiamava “MB”, per i nigeriani è prima diventato “M-oa’B”, e poi “back of Moabi” è diventata l’espressione per indicare questa zona. Oppure c’è la zona del “Bar Tropical”, c’è la zona del “Bar Mexico”, c’è il “Mama-Ghana-Junction”, anzi il “Mama-Ghana-Bus-Stop” che si chiama così perché c’è un negozio di una signora del Ghana. Poi a Pescopagano, e “destra Volturno” ci sono delle grosse comunità di ghanesi e nigeriani, però tutta la statale “Domiziana” di Castel Volturno è abitata da stranieri.

Castel Volturno è il ghetto. E’ il ghetto africano ed una riserva di manodopera. La maggior parte della gente che vive a Castel Volturno non vi lavora. Se si fa un giro la mattina verso le alle seipuoi vedere centinaia e centinaia di persone che aspettano l’M1 per poi fermarsi nei vari “carrefour”, nelle rotonde. Quando chiedi loro che lavoro fai, ti rispondono “vado a fare il carrefour” che significa “vado all’incrocio”, significa che va a cercare lavoro nei vari incroci a Quarto, Licola, Varcaturo, Qualiano, Villaricca. Prendono l’autobus e poi si sparpagliano in tutti questi “carrefour” aspettando i datori di lavoro che li prendono a giornata. Il fenomeno del caporalato c’è, ma è molto più diffuso il fenomeno del proprietario di terra che viene con il furgone e li prende a lavorare, senza nessuna intermediazione del caporale, per 20/25 euro a giornata. Tutti poi hanno avuto almeno una esperienza di lavoro non pagato, di una settimana o più, con datori di lavoro che promettevano loro di pagarli e poi non l’hanno fatto. Ci sono parecchi casi di infortuni sul lavoro, di gente che si è fatta male e che è stata lasciata in mezzo alla strada, oppure accompagnati al pronto soccorso dicendo che avevano avuto un incidente ed invece era un infortunio sul lavoro. Per questo Castel Voltuno è una riserva di manodopera, perché il lavoro non c’è lì.

Gli affitti costano poco, è una specie di Africa, anche ad occhio sembra la periferia di Bamako o di qualche altra grande città dell’Africa. Se si passa di qui la domenica pomeriggio sembra di stare in Africa, c’è tutta la gente che esce dalle chiese, perché ci sono parecchie chiese e sono soprattutto nigeriani e ghanesi di culto pentecostale, battista, etc. Ci sono poi le attività economiche create dagli stranieri regolari, come i “phone center”, i “beauty center”, attività commerciali di vendita di alimenti, negozi. Ci sono poi dei baretti, a parte alcune case dove delle donne hanno organizzato, dentro l’abitazione, una specie di negozio di alimentari, dove si vendono birra, liquori. Quindi nel tempo libero si ritrovano in questi luoghi. Quando non fa freddo scendono per strada oppure vanno a ballare il sabato e la domenica a Pineta Mare, dove ci sono delle discoteche, sono tanti quelli che ci vanno. Durante la settimana comunque lavorano molto ed alzandosi alle quattro del mattino la sera hanno poco da divertirsi.

Nei rapporti con gli italiani invece c’è di tutto. C’è ovviamente chi è più sensibile chi meno, se parli in giro con la gente c’è chi ti dice che “ci sono troppi immigrati”, oppure che “sono tutte prostitute e spacciatori”, c’è questa idea. Incontri però anche gente che ha modo di lavorarci insieme, di frequentarli ed ha modo quindi di capire che non è tutto così. L’idea che passa, e che passa soprattutto sui giornali, è che gli immigrati si occupano di spaccio e prostituzione. All’inizio di ogni estate assistiamo a queste grandi operazioni di polizia per ripulire la “domiziana” dalle ragazze che lavorano lì. Ogni estate ci sono queste retate, aizzate dai comunicati di vari consiglieri comunali.

 

 

 

Gli immigrati che si rivolgono da voi vi hanno mai raccontato di aver subito violenze a sfondo razzista, oppure episodi di “bullismo”?

 

 

 

Si, anche se spesso si tratta di ragazzini. Gli immigrati ci raccontano spesso di ragazzini che passano con i motorini e li colpiscono con una bastonata, oppure tirano loro una pietra, li colpiscono con uno schiaffo, oppure gli sputano. Capita anche a Castel Volturno, ma mi è capitato di sentirlo di più a Giugliano, a Sant’Antimo…A Castel Volturno c’è una grossa presenza di immigrati, quasi più degli italiani, sembra che ci sia una convivenza tranquilla, forse nel passato lo è stata meno…

 

 

 

L’impressione è che Castel Volturno sia la meta di un flusso continuo, una catena migratoria costante. Come fanno gli immigrati a organizzarsi? Non c’è il rischio che qualcuno finisca nel circuito dell’illegalità?

 

C’è a Castel Volturno un problema di accoglienza. In effetti c’è solo il centro Fernandes, per poco più di venti persone. L’accoglienza è risolta in gran parte dalle comunità. A Villa Literno ci sono dei posti occupati, una ex-fabbrica occupata ed una casa abbandonata senza acqua nè luce dove, soprattutto nel periodo della raccolta delle pesche e delle fragole, puoi trovare anche duecento persone tra l’uno e l’altro posto, tutti magrebini.

La gente viene a Castel Volturno perché sa che c’è la possibilità di essere accolti, oppure perché conosce qualcuno. Anche prima di arrivare in Italia gli immigrati spesso sanno se devono andare a Foggia, dove c’è la raccolta del pomodoro oppure in qualche altro posto. Per la comunità nigeriana Castel Volturno, insieme a Verona e Torino,è un punto di riferimento in tutta Italia. E’ la base di tutto, anche dei traffici illeciti, di droga e prostituzione, questo lo dicono le indagini della magistratura. Ed è facile immaginare anche che ci siano collegamenti con il fenomeno camorristico. Per la comunità nigeriana c’è un circuito legato all’accoglienza ma anche al business dello spaccio e della prostituzione. Anche se fortunatamente riguardasolo una minoranza degli immigrati che stanno qui.