DA AVVENIRE DEL 5 MARZO 2011
PERSECUZIONI ANTICRISTIANE: IMPORTANTE RICHIAMO DEL CAPO
DELLO STATO
Parole finalmente chiare spezzano la codarda sordina
GIORGIO FERRARI
« L a libertà religiosa è un faro di speranza e potente rassicurazione per tutte
le minoranze, e garantisce l’identità e la sicurezza di sé eliminando la
percezione dell’ostilità e delle minacce. È dunque essenziale rifiutare tutte le
forme di intolleranza religiosa e di discriminazione». È importante che nel
giorno in cui si svolgevano i funerali del ministro per le minoranze pachistano
Shahbaz Bhatti – assassinato a Islamabad per la sua battaglia contro la legge
sulla blasfemia – si sia levato alto a Ginevra il monito del presidente
Napolitano di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. È
importante perché il tema delle persecuzioni religiose, in particolare quelle
dei cristiani, si avvale di una misteriosa ma persistente sordina
internazionale, quasi si trattasse di fenomeno logico o addirittura biologico,
come l’inevitabile estinguersi di alcune specie animali. Bhatti era cattolico,
la sua azione politica a difesa di Asia Bibi un pericolo mortale per la viscosa
legge pachistana che consente di incriminare e mandare al patibolo chiunque sia
sospettato – a torto o ragione – di offendere Allah. Prima di lui era stato
assassinato Salman Taseer, governatore musulmano del Punjab, il cui unico torto
era stato quello di aver chiesto la grazia per Asia, donna cristiana. Il
Pakistan, come sappiamo, non rappresenta un caso isolato. Di cristiani sotto il
maglio della persecuzione vi è tragica abbondanza: in almeno sessanta Paesi del
mondo essere cristiano comporta dei rischi, a volte mortali (come in Somalia, in
Sudan, in India, in Egitto), altre volte – pensiamo all’Iraq, a certe zone della
Turchia e in genere nel Medio Oriente – è fonte di un disagio esistenziale,
psicologico e morale che porta sovente all’abbandono della propria terra
cercando rifugio altrove, come dire una sorta di 'pulizia etnica bianca'. Un
fenomeno persistente e vistoso, per certi versi macroscopico, e comunque di
incontrovertibile gravità. Ma il più subdolo degli alleati di quella cieca
intolleranza che arma la mano dei fanatici, degli integralisti, degli estensori
di leggi persecutorie e omicide (come quella pachistana sulla blasfemia) lo
stiamo purtroppo ospitando proprio noi, noi ricchi e distratti occidentali: esso
abita nel sorprendente mutismo del Palazzo di Vetro come negli afasici balbettii
di maniera di Bruxelles, nelle vuote parole di uomini della politica e della
diplomazia prigionieri di untuosi formalismi e granitici pregiudizi, uomini –
come ha detto appropriatamente il ministro Frattini in un’intervista a questo
giornale – «sempre molto attenti al politically correct,
fino al punto di non utilizzare mai in un documento ufficiale le parole
'cristiani perseguitati'». C’è una sola definizione per certi comportamenti:
codardia politica, alla quale sono purtroppo avvezzi da lungo tempo non pochi
leader internazionali. Non è questo il caso del presidente Napolitano: «Non c’è
dubbio – ha detto ieri – che gruppi vulnerabili, come le comunità cristiane in
alcuni Paesi, richiedono speciale protezione. La lotta contro tutte le forme di
razzismo, discriminazione, xenofobia e simili intolleranze non è solo una
obbligazione internazionale, ma anche la migliore risposta nell’interesse comune
dell’umanità».
È senz’altro vero. La difesa della libertà religiosa non è uno sfizio
intellettuale, bensì una drammatica urgenza mondiale. Diceva Hannah Arendt che
tolleranza significa la capacità anche per un solo istante di pensare che
l’altro
da noi possa aver ragione. Sembra banale, come nozione, ma il sangue di migliaia
di perseguitati in tutto il mondo ci testimonia quanto questo traguardo sia
ancora molto lontano. Anche per colpa dei liberi governi e parlamenti
d’occidente