Filo spinato a Lampedusa. Ed i diritti di difesa?
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo


1.La recente decisione del ministro Maroni di trasferire a Lampedusa la commissione territoriale già insediata a Trapani e di trattenere nell’isola pelagica tutti i migranti che vi arrivano o che sono soccorsi da mezzi militari italiani nel Canale di Sicilia, crea le condizioni per gravi violazioni del diritto interno, del diritto comunitario e del diritto internazionale. La decisione di Maroni rischia di privare i migranti che ricevono un diniego o coloro che potrebbero impugnare un provvedimento di allontanamento forzato, di qualsiasi possibilità di difesa, tenendo conto del fatto che in quell’isola non esiste nè un ufficio giudiziario, nè tantomeno una Questura o una Prefettura ( che si trovano nel capoluogo della provincia, nella città di Agrigento, distante oltre otto ore di navigazione da Lampedusa e priva di un aeroporto). I ricorsi contro i provvedimenti di diniego, di trattenimento, o di allontanamento forzato, disposti a carico di immigrati trattenuti a Lampedusa dovrebbero essere impugnati davanti al Tribunale ordinario o al Tribunale amministrativo di Palermo, entro termini assai brevi e perentori. Se poi il Ministro Maroni intende ( e riuscirà a) dare corso a quanto annunciato, che le persone giunte irregolarmente a Lampedusa saranno immediatamente rimpatriate verso i paesi di origine, e se verrà messo in esecuzione l’accordo con la Libia, probabilmente anche verso i paesi di transito, il diritto di difesa dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che riceveranno un diniego rischia di restare carta straccia.

A tal riguardo la giurisprudenza della CEDU ha avuto modo di rilevare come in materia di rimedi effettivi l’appello debba comportare un effetto sospensivo , nel senso che costituisce un dovere da parte dello Stato fissare la necessità di una tale tutela. Se a ciò si aggiunge la decisione della Corte europea di giustizia del 1986 nella quale si ricorda come, fra i principi generali della Comunità europea, il diritto alla protezione giudiziaria effettiva sia ben definita e come la legge comunitaria richieda un esame giudiziale effettivo delle decisioni delle autorità nazionali prese in applicazione di disposizioni di legge europea. Al contempo va previsto un accrescimento del diritto all’effetto sospensivo in fase di appello e la stessa Corte europea dei diritti umani appare sembra inglobare il principio del pieno effetto sospensivo in quello della totale salvaguardia basata sui potenziali effetti di un errato allontanamento ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea per i diritti umani .

2. Secondola direttiva comunitaria 2005/85/CE «è un principio fondamentale del diritto comunitario che le decisioni relative a una domanda di asilo e alla revoca dello status di rifugiato siano soggette ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice a norma dell’articolo 234 del trattato. L’effettività del rimedio, anche per quanto concerne l’esame degli elementi pertinenti, dipende dal sistema amministrativo e giudiziario di ciascuno Stato membro considerato nel suo complesso. »
La direttiva appare molto precisa sui criteri applicabili alle decisioni delle commissioni territoriali.
« Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni sulle domande di asilo siano comunicate per iscritto.
Gli Stati membri dispongono inoltre che la decisione con cui viene respinta una domanda sia corredata di motivazioni de jure e de facto e che il richiedente sia informato per iscritto dei mezzi per impugnare tale decisione negativa. »
Garanzie specifiche sono previste per i richiedenti asilo o protezione umanitaria. Gli Stati membri « provvedono affinché tutti i richiedenti asilo godano delle seguenti garanzie:
a) il richiedente asilo è informato, in una lingua che è ragionevole supporre possa capire, della procedura da seguire e dei suoi diritti e obblighi durante il procedimento, nonché delle eventuali conseguenze di un mancato adempimento degli obblighi e della mancata cooperazione con le autorità. È informato in merito ai tempi e ai mezzi a sua disposizione per adempiere all’obbligo di addurre gli elementi di cui all’articolo 4 della direttiva 2004/83/CE. Tali informazioni sono fornite in tempo utile affinché il richiedente asilo possa far valere i diritti sanciti dalla presente direttiva e conformarsi agli obblighi descritti nell’articolo 11;
b) il richiedente asilo riceve, laddove necessario, l’assistenza di un interprete per spiegare la propria situazione nei colloqui con le autorità competenti. Gli Stati membri reputano necessario fornire tale assistenza almeno quando l’autorità accertante convoca il richiedente a un colloquio personale di cui agli articoli 12 e 13 e una comunicazione adeguata risulta impossibile in sua mancanza. In questo e negli altri casi in cui le autorità competenti convocano il richiedente asilo, tale assistenza è retribuita con fondi pubblici;
c) non è negata al richiedente asilo la possibilità di comunicare con l’UNHCR o con altre organizzazioni che operino per conto dell’UNHCR nel territorio dello Stato membro conformemente a un accordo con detto Stato membro;
d) la decisione dell’autorità accertante relativa alla domanda di asilo è comunicata al richiedente asilo con anticipo ragionevole. Se il richiedente è legalmente rappresentato da un avvocato o altro consulente legale, gli Stati membri possono scegliere di comunicare la decisione al suo avvocato o consulente anziché al richiedente asilo;
e) il richiedente asilo è informato dell’esito della decisione del- l’autorità accertante in una lingua che è ragionevole supporre possa capire, quando non è assistito o rappresentato da un avvocato o altro consulente legale e quando non è disponibile il gratuito patrocinio. Il richiedente è contestualmente informato dei mezzi per impugnare una decisione negativa a norma dell’articolo 9, paragrafo 2 ».

3. Secondo l’articolo 18 della Direttiva 2005/85/CE « gli Stati membri non trattengono in arresto una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente asilo. Qualora un richiedente asilo sia trattenuto in arresto, gli Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido sindacato giurisdizionale. La direttiva prevede poi il « diritto ad un mezzo di impugnazione efficace in caso di diniego della domanda di asilo o protezione umanitaria, e nei casi in cui questa sia dichiarata « irricevibile », anche al fine di stabilire misure cautelari.

Il Decreto legislativo 25/2008, come modificato dal d.lgs.159 del 2008, stabilisce che « la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame della domanda effettuato ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251. Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative » .

E ancora in base allo stesso decreto vengono fissate precise garanzie in favore dei richiedenti asilo, in particolare, secondo l’art. 10, « all’atto della presentazione della domanda l’ufficio di polizia competente a riceverla informa il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri durante il procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda degli elementi utili all’esame; a tale fine consegna al richiedente l’opuscolo informativo di cui al comma 2.
La Commissione nazionale redige, secondo le modalità definite nel regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 38 un opuscolo informativo che illustra:
a) le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale;
b) i principali diritti e doveri del richiedente durante la sua permanenza in Italia;
c) le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle;
d) l’indirizzo ed il recapito telefonico dell’ACNUR e delle principali organizzazioni di tutela dei richiedenti protezione internazionale.
Al richiedente è garantita, in ogni fase della procedura, la possibilità di contattare l’ACNUR o altra organizzazione di sua fiducia competente in materia di asilo.
Il richiedente è tempestivamente informato della decisione.
Tutte le comunicazioni concernenti il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono rese al richiedente nella prima lingua da lui indicata, o, se ciò non è possibile, in lingua inglese, francese, spagnola o araba, secondo la preferenza indicata dall’interessato. In tutte le fasi del procedimento connesse alla presentazione ed all’esame della domanda, al richiedente è garantita, se necessario, l’assistenza di un interprete della sua lingua o di altra lingua a lui comprensibile.
In caso di impugnazione della decisione in sede giurisdizionale, allo straniero, durante lo svolgimento del relativo giudizio, sono assicurate le stesse garanzie di cui al presente articolo ».

Il Decreto 25 del 2008 prevede poi l’assistenza legale e precisamente, secondo l’art. 16 « Il cittadino straniero può farsi assistere, a proprie spese, da un avvocato e nel caso di impugnazione delle decisioni in sede giurisdizionale, ...... ed è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. In ogni caso per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero si applica l’articolo 94 del medesimo decreto.

Il diritto di difesa previsto dall’art. 17 del decreto legislativo 25/2008 non è un dunque un mero riconoscimento formale ma è un diritto che il legislatore comunitario e quello nazionale vogliono dotato del carattere della effettività. « Al cittadino straniero o al suo legale rappresentante, nonché all’avvocato che eventualmente lo assiste, è garantito l’accesso a tutte le informazioni relative alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale o della Commissione nazionale, con le modalità di cui all’articolo 18. Secondo l’art. 18 “ai procedimenti per l’esame delle domande di protezione internazionale si applicano le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi, di cui ai capi I, ad esclusione dell’articolo 2, comma 2, II, IV-bis e V, nonchè agli articoli 7, 8 e 10 del capo III della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il decreto legislativo 159 modifica il precedente d.legs.25 del 2009 ed all all’articolo 32, comma 1, dopo la lettera b) inserisce la seguente: «b-bis)( la Commissione territoriale) rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda e’ stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento. Si introduce così un criterio assolutamente discrezionale per valutare la fondatezza della istanza di asilo e tale circostanza rende ancora più importante la possibilità di fare valere effettivamente gli strumenti di difesa e assistenza legale accordati ai richiedenti asilo.

4. In base all’art. 35 del decreto legislativo 25 del 2008, non modificato in questa parte, avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede il centro” E ancora, “ avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l’avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l’udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati all’interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l’efficacia del provvedimento impugnato.
La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’articolo 22, comma 2, e dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis) non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell’udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è disposta l’accoglienza nei centri di cui all’articolo 20.

5. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell’articolo 20, comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell’articolo 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell’ordinanza di cui al comma 7.* All’udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l’atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell’istruttoria.
Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata.
Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d’appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza.
Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi.
Nel procedimento dinanzi alla corte d’appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10.
Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d’appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c.* (*Le parti in corsivo sono quelle corrispondenti alle modifiche apportate dal DL n. 159 del 3 ottobre 2008).

Per i richiedenti asilo denegati sono inoltre previste appositi casi di accoglienza in apposite strutture non detentive. Secondo l’art. 36 del decreto legislativo 25 del 2008.« Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso ai sensi dell’articolo 35, si applica l’articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140. Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui all’articolo 20 rimane in accoglienza nelle medesime strutture con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140. Il richiedente trattenuto nei centri di cui all’articolo 21 che ha ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 35, comma 8, ha accoglienza nei centri di cui all’articolo 20 con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

6. Una recente “risoluzione del Parlamento Europeo” del 15 gennaio 2009, dopo avere chiesto agli stati membri di adottare strumenti legislativi che consentano l’ingresso legale dei migranti, “deplora” une panoplie croissante de mesures de contrôle aux frontières, qui pèchent par le manque de mécanismes nécessaires à l’identification des demandeurs d’asile potentiels aux frontières de l’Europe, ce qui conduit à une violation du principe de non refoulement, tel qu’inscrit dans la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés”. La stessa Risoluzione del Parlamento Europeo “ demande au Conseil de clarifier les rôles respectifs de l’Agence européenne pour la gestion de la coopération opérationnelle aux frontières extérieures des États membres de l’Union européenne (FRONTEX) et des États membres, afin de garantir que les contrôles aux frontières sont respectueux des droits de l’homme; considère qu’il est urgent d’amender le mandat de FRONTEX, afin d’y inclure le sauvetage en mer; demande que le Parlement européen puisse exercer un contrôle démocratique dans la conclusion d’accords par FRONTEX avec des pays tiers”, e “s’inquiète de ce que la tendance à éloigner de plus en plus les contrôles frontaliers des frontières géographiques de l’Union rende très difficile le contrôle de ce qui se passe quand les personnes aspirant au statut de refugié et les personnes qui ont besoin d’une protection internationale entrent en contact avec les autorités d’un pays tiers; La Risoluzione “ rappelle que les migrants qui ne déposent pas de demande d’asile doivent aussi être accueillis dans des structures propres et adaptées, où ils puissent prendre connaissance - avec l’aide d’interprètes et de médiateurs culturels formés à cet effet - de leurs droits et des possibilités offertes par le droit du pays d’accueil, le droit communautaire et les conventions internationales” precisando che “demande d’accorder une attention particulière aux mineurs non accompagnés et à ceux séparés de leurs parents arrivant sur le territoire de l’Union par voie d’immigration irrégulière et souligne l’obligation des États membres de leur fournir assistance et une protection spéciale; demande à toutes les autorités - locales, régionales, nationales - et aux institutions européennes, de coopérer de manière assidue pour protéger ces enfants de toutes les formes de violence et d’exploitation, d’assurer la désignation sans délai d’un tuteur, de leur fournir une assistance juridique, de rechercher leur famille et d’améliorer leurs conditions d’accueil, par le biais d’un logement approprié, d’un accès facilité aux services de santé, d’éducation et de formation, particulièrement s’agissant de l’enseignement de la langue officielle du pays d’accueil, de la formation professionnelle et d’une complète intégration dans le système scolaire; Il Parlamento Europeo vieta categoricamente la detenzione amministrativa di minori, e “ rappelle que la détention administrative d’enfants ne devrait pas exister et que les enfants accompagnés de leur famille ne devraient être détenus que dans des circonstances vraiment exceptionnelles, pour la durée la plus limitée possible et seulement si une telle détention est dans leur intérêt, conformément aux articles 3 et 37, point b), de la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant”.

7. In questo stesso senso, il 9 luglio 2007 una circolare firmata dal Ministro dell’Interno Amato, ed inviata ai questori, e dunque ben conosciuta anche da parte degli uffici di polizia di frontiera, introduceva nuovi criteri per stabilire le generalità in caso di d’età incerta, per evitare il rischio di adottare erroneamente provvedimenti gravemente lesivi dei diritti dei minori, quali l’espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di permanenza temporanea ( oggi rinominati CIE, Centri di identificazione ed espulsione). Oggi nella prassi applicativa della polizia di frontiera sembra che di quella circolare non sia rimasta traccia.
La circolare prendeva atto dei gravi rischi che potevano derivare da una valutazione superficiale dell’età della persona, minore o giovane adulto che fosse, e riconosceva come, un errore nella valutazione dell’età del minore poteva comportare conseguenze “gravemente lesive dei suoi diritti, quali l’espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di permanenza temporanea o di identificazione”. Sempre secondo questa circolare, “pertanto, nei casi in cui vi sia incertezza sulla minore età, è necessario far ricorso a tutti gli accertamenti, comunque individuati dalla legislazione in materia, per determinare la minore età, facendo ricorso, in via prioritaria, a strutture sanitarie pubbliche dotate di reparti pediatrici. Tuttavia, poiché, come è evidenziato dalla prassi, tali accertamenti non forniscono, di regola, risultati esatti, limitandosi ad indicare la fascia d’età compatibile con i risultati ottenuti, può accadere che il margine di errore comprenda al suo interno sia la minore che la maggiore età. Al riguardo, il Comitato sui diritti dell’infanzia del’Unicef, nell’affermare, al punto 31 del Commento Generale n. 6 del 3.6.2005 alla Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, l’importanza prioritaria della valutazione dell’età del minore in modo scientifico, sicuro e rispettoso dell’età, del sesso, dell’integrità fisica e della dignità del minore, raccomanda, nei casi incerti, di "accordare comunque alla persona il beneficio del dubbio, trattandola come se fosse un bambino".
Peraltro, in materia di accertamento dell’età del minore, l’art. 8, comma 2, del D.P.R. 22.9.1988, n. 448, recante "Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni", fìssa il principio di presunzione della minore età, stabilendo che "qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sull’età del minore, questa è presunta ad ogni effetto". Il predetto principio, fondato sul dovere di garantire al minore la più ampia tutela dei diritti, si ritiene possa trovare applicazione in via analogica anche in materia di immigrazione, ogni volta in cui sia necessario procedere all’accertamento della minore età. La circolare del 9 luglio 2007 precisa dunque “che fintanto non siano disponibili i risultati degli accertamenti in argomento, all’immigrato dovranno essere comunque applicate le disposizioni relative alla protezione dei minori. Il migrante è sottoposto all’esame per l’accertamento dell’età , l’esame consiste nella misurazione del polso e ha un margine di errore fino a due anni”. Con questa direttiva veniva dunque introdotta la presunzione della minore età in caso di dubbio.

8. La decisione di trasferire la Commissione territoriale di Trapani a Lampedusa, la rapidità degli accertamenti sull’età dei migranti, effettuati sulla sola base dell’esame radiografico del polso in un ambulatorio di una piccola isola che non ha neppure un ospedale, la rapidità “annunciata” delle misure di rimpatrio forzato, rendono dunque sempre più difficile un corretto esercizio dei diritti di difesa che la legge nazionale, il diritto comunitario ed il diritto internazionale riconoscono in capo ai migranti.

E i richiedenti asilo possono avere diritto a ben tre gradi di giudizio, come è dimostrato dalle numerose sentenze della Corte di cassazione che si sono occupate di questa materia. In particolare, secondo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, n. 2710 del 17 novembre 2008, che pure si inquadra in un orientamento assai restrittivo, è necessaria una valutazione specifica per negare il diritto di asilo a chi possa essere oggetto di persecuzione nel paese di origine. La sentenza della Cassazione in Sezioni Unite – con cui è stato accolto il ricorso di un cittadino curdo iracheno- chiarisce un argomento molto importante per tutta la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale: in che modo il richiedente deve dimostrare i fatti alla base della sua richiesta di protezione, e qual’è il ruolo del Giudice e della Commissione Territoriale nell’accertamento dei fatti.
La Corte di cassazione riconosce che lo straniero richiedente asilo ha un limitato e attenuato l’onere probatorio, “tenendo conto delle difficoltà determinate da un allontanamento sovente forzato e segreto, tali da rendere normalmente necessario il ricorso allo strumento presuntivo”. Tuttavia, secondo la Corte, non è sufficiente “il richiamo al notorio circa la situazione politico-economica di dissesto del paese di origine o circa la persecuzione nei confronti di non specifiche etnie di appartenenza”. . Secondo la Corte“il richiedente deve provare, quanto meno in via presuntiva, il concreto pericolo cui andrebbe incontro con il rimpatrio, con preciso riferimento all’effettività e all’attualità del rischio”. Inoltre, il richiedente deve dimostrare di essere credibile nelle sue affermazioni. La Corte non attribuisce però solo al richiedente il compito di presentare gli elementi necessari per l’ottenimento della protezione internazionale. La Commissione Territoriale ed, eventualmente più avanti, il Giudice hanno il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti. Ciò implica una “forte valorizzazione dei poteri istruttori ufficiosi” dell’autorità giudicante. Questa deve acquisire, anche d’ufficio, “le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del paese di origine”. Ne risulta un preciso onere probatorio che incombe alle Commissioni territoriali o al giudice in sede di ricorso per riconoscere o escludere il diritto di asilo o il diritto alla protezione internazionale. Un onere probatorio che impone un esame individuale di ogni istanza, senza facili generalizzazioni basate sulla nazionalità del richiedente, e che corrisponde all’onere probatorio a carico del migrante che deve fornire tutti gli elementi in suo possesso e rispettare l’obbligo di fornire informazioni veritiere. Non si vede però come i richiedenti asilo possano assolvere tale gravoso onere probatorio nel giro di qualche giorno, dopo avere raggiunto Lampedusa in condizioni fisiche e psicologiche assai deteriorate, senza alcun contatto con il paese di origine, dal quale spesso sono fuggiti mesi o anni prima. L’orientamento della Corte di Cassazione, sommato alle direttive impartite da Maroni ed alla situazione di fatto di Lampedusa, se da un lato conferma la necessità che i ricorsi giurisdizionali contro i dinieghi dello status di protezione internazionale abbiano portata effettiva, rischia di privare dei più elementari diritti fondamentali, i migranti che vi arrivano. Si può configurare in questo modo una grave violazione dell’art. 2 del Testo Unico dell’immigrazione, dell’art. 10 della Costituzione italiana e di tutte le disposizioni contenute nelle direttive comunitarie e nelle leggi di attuazione che riconoscono il diritto di asilo, la protezione susidiaria, la possibilità di rilasaciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5.6 del testo Unico sull’immigrazione, dunque fuori dai casi previsti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalle direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione sussidiaria. 9. Le decisioni assunte dal ministro Maroni di bloccare nel’isola di Lampedusa i migranti fino al momento del rimpatrio, anche con l’apertura di un nuovo centro di detenzione, adesso denominato CIE, Centro di identificazione ed espulsione, in ogni caso una struttura detentiva circondata da sbarre e filo spinato, sotto stretta sorveglianza militare, costituisce un attentato ai principi dello stato di diritto, e in particolare alla riserva di giurisdizione stabilita dall’art. 13 della Costituzione, oltre che un passo decisivo nella direzione della militarizzazione del territorio dell’isola. Anche la popolazione di Lampedusa, che ha votato in massa per la Lega Nord, si accorgerà presto del prezzo che dovrà pagare per questa sua scelta. La decisioni di Maroni di bloccare a Lampedusa tutti i migranti che vi arrivano, compresi i richiedenti asilo fino alla definizione della procedura, e di « svuotare » l’isola con i rimpatri ( ?) diretti, con scalo tecnico a Catania, si fonda su due presupposti che sono inesistenti.

Infatti i paesi di transito e di origine, a parte l’ecezione dell’Egitto e della Tunisia, ben difficilmente forniranno la cooperazione richiesta dall’Italia nell’effettuare i riconoscimenti e nella fornitura dei documenti di viaggio, documenti indispensabili per potere trasferire una persona da un paese ad un altro. La stessa decisione di militarizzare Lampedusa in funzione di contenimento dei migranti che arrivano in gran parte dalla Libia, e che libici non sono, come è universalmente noto, si basa sull’assunto, ancora tutto da dimostrare, che sarà possibile bloccare le partenze delle imbarcazioni cariche di migranti dal litorale libico, magari anche in acque internazionali. Una speranza tanto presuntuosa, con le sei motovedette che l’Italia dovrebbe inviare in Libia dopo che il Parlamento avrà ratificato l’accordo Gheddafi-Berlusconi dello scorso agosto, quanto già smentita dai fatti.

Come riferisce la stampa, il 18 gennaio, dieci migranti nordafricani sono stati sorpresi sulla spiaggia di Cala Galera da una pattuglia della Guardia di Finanza, dopo che erano appena sbarcati; altri 18 migranti sono stati bloccati dai carabinieri sulla terraferma a Linosa. In nessuno dei due casi, nonostante i controlli lungo le coste delle due isole, sono state trovate le imbarcazioni utilizzate dagli immigrati. I 28 profughi sbarcati sulle Pelagie sono stati trasferiti al centro d’accoglienza di Lampedusa dove alla data del 18 gennaio si trovano ancora circa 1.200 persone. Si tratta di immigrati trattenuti da settimane senza alcun provvedimento formale, senza convalida del magistrato, in una situazione fuori dal diritto insomma. Ci sarà qualcuno che se ne accorge ?

Nella notte del 17 gennaio altri 13 migranti erano stati intercettati dalla polizia sul litorale di Licata. Anche in questo caso non è stata localizzata l’imbarcazione utilizzata per la traversata. Evidentemente le nuove direttive del governo su Lampedusa hanno spinto altri migranti a mutare rotta per tentare di raggiungere direttamente la Sicilia, passando vicino Malta. Una rotta più lunga che può significare un numero ancora più alto di vittime. Non appena il cattivo tempo ha dato una finestra di pausa, malgrado tutti gli annunci, le iniziative con l’ambasciatore libico, il patto stipulato con la Grecia, Cipro e Malta per chiedere aiuti economici all’Unione europea per sostenere i costi dei respingimenti, della detenzione e delle deportazioni, malgrado tutto questo, gli sbarchi in Sicilia sono dunque ripresi, e purtroppo si allunga anche la lista delle vittime, come confermato dalla scoperta di un cadavere, al largo di Malta, domenica 18 gennaio, lo stesso giorno in cui le altre piccole imbarcazioni cariche di migranti riuscivano a raggiungere direttamente le coste di Lampedusa e Linosa. E speriamo che nel frattempo non si siano consumate altre tragedie dalle dimensioni ancora più grandi.

Non sappiamo se le nuove prassi amministrative relative agli immigrati irregolari ed ai richiedenti asilo giunti a Lampedusa potranno essere censurate dagli organi della giustizia internazionale o dalle autorità giurisdizionali nazionali. Se vi saranno violazioni di legge o di convenzioni internazionali, e se queste potranno essere individuate, interverranno i giudici e gli organi di governo dell’Unione Europea, la Commissione Europea ed il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio di Europa. Prima o poi la verità verrà alla luce, e le responsabilità di queste violazioni potranno essere individuate. Ma non saranno le corti di giustizia a sanzionare il fallimento delle politiche di sbarramento e di contenimento che il governo cerca di praticare come unico modo per affrontare il complesso fenomeno dell’immigrazione irregolare e dell’asilo, imprescindibilmente connesso, è bene che si ricordi. Prima o poi anche l’opinione pubblica, come già è successo a Lampedusa, si accorgerà di essere stata raggirata dai politici-imprenditori della « sicurezza », che spacciano paura al solo fine di nascondere i loro veri interessi ed il fallimento delle loro politiche. Si potranno negare violentemente i diritti fondamentali dei migranti, sulla terraferma, si potrà considerare un isola come un luogo extraterritoriale al di fuori del diritto, ma il filo spinato e gli altri segni esteriori di una frontiera, evidentemente, non si possono certo installare nelle acque del Canale di Sicilia. E assai probabilmente neppure nei deserti della Libia.