IL "VILLAGGIO DI CARTONE"

EDITORIALE DI KAIROSNEWS DEL 18-09-2011

Il “Villaggio di cartone” è il titolo del film di Ermanno Olmi presentato fuori concorso alla mostra di Venezia e salutato dal pubblico e dalla critica della Laguna con dieci minuti di scroscianti applausi. La storia si ambienta in una chiesa sconsacrata in cui si rifugiano degli immigrati che cercano di sopravvivere alla quotidianità, conducendo una parvenza di vita normale. Tutti i simboli ecclesiastici, come la fonte battesimale, vengono spogliati del loro valore sacro per diventare strumento di vita reale e quotidiana. Con questa pellicola, il regista si sofferma sull’importanza dei simboli religiosi, sulla troppo spesso pomposa struttura ecclesiastica, sulla mancanza della vera riflessione cristiana nella vita di ognuno. Così Ermanno Olmi, in conferenza stampa, ha spiegato il suo film: “Se le chiese, le case e noi stessi non ci liberiamo dagli orpelli ritenuti nobili, come possiamo entrare in contatto con gli altri? Saremo solo maschere, uomini di cartone . Cos’è più importante dell’accoglienza? La sacralità dei simboli? Invece di inginocchiarci davanti a simulacri di cartone, inchiniamoci davanti a chi soffre di più. Qualche volta anche io faccio fatica a riconoscerlo, ma è l’unico modo per lodare Dio”. Il titolo del film: “Villaggio di cartone”, non si riferisce alla precarietà della vita degli immigrati, ma alla precarietà della nostra condizione socio politica destinata prima o poi a crollare di fronte ai mutati equilibri della globalizzazione.  Dice il regista:“ E’ di cartone il potere, lo è la finta giustizia, la ricchezza, l’economia: basta un po’ di umidità e il cartone si scioglie, come si sta sciogliendo in questi tempi ciò che sembrava indistruttibile.”  La “parabola” raccontata dal cattolico Olmi, dunque, non vuole essere il solito pietoso ammonimento sulla necessità dell’accoglienza di poveri immigrati clandestini abbandonati al loro destino, ma la rappresentazione del fallimento di una società. Solo in questo senso possiamo inquadrare nell’ambito dei problemi dell’ immigrazione anche la triste vicenda del povero Casimiro, alcolista polacco, noto ai capuani, trovato morto su un letto di cartoni di vino in un deposito abbandonato. la sua storia non ha nulla a che fare con la complessa e dinamica realtà dell’immigrazione in Italia. Troppo spesso riduciamo il discorso sull’immigrazione al fenomeno del vagabondaggio e del disagio. Fortunatamente invece gli immigrati sono una realtà ben diversa fatta di professionalità, lavoro, cultura e relazioni. Tuttavia non si può disconoscere che nel “villaggio di Cartone” che stiamo costruendo non c’è più spazio per la diversità.  A chi vive sui cartoni una società di cartone non ha nulla da offrire. La fragilità psicologica, morale, familiare e sociale è diventata una condizione comune.  Nel caso di Casimiro, infatti,  non ci sentiamo responsabili per la mancanza di accoglienza o di cura che gli abbiamo offerto in ogni modo cercando di sottrarlo ad un destino segnato. La nostra responsabilità è più profonda e diffusa: è nella cultura  dell’apparenza e della forma che non scava più nel profondo delle cose e delle relazioni, ma è schiacciata dal suo materialismo. Eppure la vita è sempre degna di essere vissuta. Ce lo ricorda Don Tonino Bello: “Il Signore si serve di vecchie ciabatte per farne calzari di angeli e di vecchi stracci per farne tovaglie di altare”. Andiamo a vedere il film di Olmi che presto sarà nelle sale. Scopriremo anche con stupore e soddisfazione che alcuni protagonisti sono dei poveri migranti di Castel Volturno che per noi sono solo bocche da sfamare, ma che per l’occhio dell’ artista sono creature meravigliose capaci di insegnarci la verità della vita..