La legge 228/2003 contro la tratta degli esseri umani: dati e considerazioni

(Ministero Pari Opportunità, Tavola rotonda,

Siracusa, 5 novembre 2005)

 

Don Giancarlo Perego

Resp. Area nazionale Caritas Italiana

 

       Alcuni dati che aiutano a riflettere

Alla luce del protocollo di Palermo, che ha elaborato una triplice distinzione tra migrazioni irregolari, traffico di migranti e tratta delle persone, possiamo considerare alcuni dati che aiutano a riflettere.

 

1.     Tra il 2000 e il 2004, circa 1.000.000 di persone o sono entrate illegalmente o sono rimaste illegalmente in Italia; 170.000 persone extracomunitarie sono entrate in Italia attraverso le strade del traffico degli esseri umani; 55.000 sono vittime di tratta, di cui 5.000 per motivi di sfruttamento sul lavoro e 50.000 per motivi di sfruttamento sessuale: almeno il 5%, cioè 2.500, minori. Tra il 2000 e il 2004 ogni anno si sono contati mediamente in Italia 5-7.000 minori non accompagnati. Nel mondo delle famiglie e delle imprese italiane non accennano a diminuire le forme di lavoro nero, che nasconde spesso forme di violenze e anche di grave sfruttamento. Da una recente indagine INPS-Caritas risulta che nel 2003 nel 61% delle aziende ispezionate è stata riscontrata una situazione di irregolarità, con oltre 100.000 lavoratori irregolari, di cui 94.000 totalmente in nero (e di questi 15.000 stranieri)

(Cfr. Dati rapporto Transcrime; dati rielaborati Dossier immigrazione Caritas/Migrantes 2004 e 2005).

La tratta è tra noi.

 

2.     Almeno 30.000 persone vittima di tratta, provenienti da 54 paesi diversi, in qualche modo hanno chiesto aiuto: attraverso i centri di ascolto, i pronto intervento e le unità di strada, i servizi legali, sanitari, le forze dell’ordine, i patronati, i sindacati. Attorno alla tratta è nata, così, una grande solidarietà sociale, oggi in Italia – Paese all’avanguardia sul tema in Europa - rafforzata da due strumenti: l’articolo 18 del T.U. e la  legge 228/2003 contro la tratta.

                                                         

Il percorso di protezione sociale è stato un importante veicolo di sicurezza e giustizia

 

3.     Grazie agli strumenti legislativi citati, almeno 6.500 persone tra il 2000-2004 hanno potuto entrare in un percorso sociale in Italia, ricongiungersi con i propri familiari; alcune, poche, purtroppo (circa 160), hanno potuto rientrare in patria ed essere accompagnate in un percorso di protezione sociale. L'ONU, nei giorni scorsi, ci ha ricordato come il 95% delle persone vittime di tratta rientrate nei loro Paesi, soprattutto nei Paesi dell’EST, sono scomparse: un dato questo veramente allarmante.

Liberare le persone da vincoli di sfruttamento e della tratta è possibile.

 

       Alla luce dei dati emergono alcune considerazioni di fondo.

 

1.     Il fenomeno della tratta è connesso al fenomeno dell’immigrazione. Rimane, pertanto, indispensabile affrontare in generale il fenomeno delle migrazioni – che ogni anno interessa nel mondo 200 milioni di persone e in Europa 4 milioni di persone – e con una particolare attenzione alle modalità di accesso, alla tutela dei diritti umani, allo sviluppo dei Paesi d’origine e di transito (cfr. Conclusione n. 11 Presidenza del Consiglio di Tampere, 15-16 ottobre 1999).

 

2.     Il fenomeno della tratta è connesso al fenomeno della povertà. E’ pertanto indispensabile rafforzare l’azione per il raggiungimento degli obiettivi del Millennio nella lotta alla povertà, migliorare le condizioni di vita in alcuni paesi,, garantire le donne e i bambini oltre alle minoranze, prevenire i conflitti. Ogni azione per lo sviluppo è un azione contro il traffico e la tratta degli esseri umani.

 

 

3.     Per il nostro Paese questo significa in primo luogo connettere l’azione contro la tratta sia a una revisione dei meccanismi di controllo dell’immigrazione che non faciliti fasce di clandestinità e irregolarità, che sono il primo luogo in cui si formano azioni che favoriscono la tratta di persone; sia alle politiche contro forme di esclusione ed emarginazione sociale, alle politiche per la lotta alla povertà: ciò ha un particolare valore nei luoghi a vasto controllo mafioso. In secondo luogo, per il nostro Paese, la lotta alla tratta significa una rafforzata politica di cooperazione allo sviluppo, anche nella particolare forma della cooperazione decentrata, che favorisca, in una stagione anche di grande mobilità, formazione di risorse umane, rientro di risorse vitali, attenzione alla famiglia, oltre all’aiuto allo sviluppo e alla lotta alla povertà.

 

      Alcune annotazioni e attenzioni in riferimento alla legge 228/2003 e al suo regolamento di attuazione

 

1.     Connettere strettamente le azioni di protezione sociale legate all’art. 18 e le azioni europee di lotta all’esclusione sociale (per le persone provenienti dai Paesi europei) con le azioni iniziali (fino a 6 mesi) in riferimento alla lotta alla tratta e alla protezione delle vittime, della legge 228/2003. Non possiamo, infatti, dimenticare che molto spesso dalla persona accolta in protezione sociale inizia un percorso significativo e importante per individuare i luoghi, le rotte, le forme della tratta degli esseri umani. A questo proposito è importante poter rafforzare ed estendere la possibilità di utilizzare l’art. 18 del T. U. e la legge 228/2003 in progetti e percorsi di tutela delle nuove forme di tratta: per lavoro, per accattonaggio, per traffico di organi…

 

2.     Dare priorità al fatto che una persona è vittima di tratta rispetto a reati, che spesso sono connessi, che riguardano il traffico di armi e di droga. Molte persone rischiano o di non contribuire alla identificazione dei trafficanti o di vedere annullato un procedimento solo perché sono stati costretti ad essere corrieri di droga o di armi.

 

3.     Aumentare le risorse sia sul fondo art. 18 del T.U. sia sul fondo contro la tratta per riuscire realmente a costruire percorsi, anche in collaborazione con gli enti locali, che offrano tutela alle persone vittime di tratta. Le difficoltà economiche in cui versano alcuni enti locali, soprattutto in alcune regioni, non devono però far mancare la possibilità di enti religiosi, fondazioni, organizzazioni sociali di contribuire a dare dignità alle persone vittime di tratta. A questo proposito, potrebbero diventare una risorsa aggiuntiva i patrimoni confiscati ai trafficanti, ma anche le risorse della Cassa ammende.

 

4.     Promuovere la costituzione di parte civile nei processi contro la tratta anche delle Istituzioni (Stato, Regioni, Province, Comuni), così da rafforzare l’idea che il reato di tratta non è soltanto contro una persona e la sua famiglia, ma anche contro lo Stato e la comunità civile.

 

 

5.     Aumentare e incrociare le risorse destinate alla Cooperazione allo sviluppo, così che l’azione del rientro in Patria delle vittime sia connessa non solo alla protezione sua e dei familiari, ma anche ad azione di prevenzione sul territorio di origine (informazione, azioni sociali ed educative…).

 

6.     Monitorare e accompagnare costantemente il fenomeno della tratta da parte del Dipartimento delle pari opportunità attraverso un Tavolo allargato, che sappia anche incrociare i dati e le buone prassi sull’immigrazione e sulla povertà, in collaborazione con tutte le realtà che si muovono attorno al fenomeno, in particolare: le forze dell’ordine (con un’attenzione anche a livello europeo), le procure, le associazioni che lavorano nei programmi di assistenza sociale, le Università, i Ministeri. 

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ART. 18 T.U. Immigrazione. Quale applicazione della legge?

 

Don Giancarlo Perego

Resp. Area nazionale Caritas Italiana

 

(Perugia, Stradafacendo 2, 28 ottobre 2005)

 

Traccia della relazione

Osservare: il dato

 

1.      Le vittime di tratta per scopi sessuali giunte sul territorio italiano tra il 2000 e il 2004  sono stimate in circa 50.000. Quasi 30.000 hanno raggiunto in qualche modo i servizi sociali, legali, sanitari presenti sul territorio

2.      I permessi di soggiorno concessi per protezione sociale (art. 18 T.U.) hanno avuto il seguente andamento: 63 nel 1998, 244 nel 1999, 726 nel 2000, 744 nel 2001, 848 nel 2002, 850 nel 2003 e 811 nel 2004 (dati Dossier Caritas Migrantes / Ministero per le Pari Opportunità). Il totale dei permessi fino al 31 dicembre 2004 sono stati complessivamente 4.286 e raggiungeranno e supereranno, alla fine del 2005 le 5.000 unità. Come si può vedere dalla tabella allegata, che analizza i dati del quinquennio 2000-2004, la Regione che ha usufruito del maggior numero di permessi per protezione sociale è stata l’Emilia Romagna (18,5%), seguita dal Piemonte (13,7%), dalla Puglia (13%) e dalla Lombardia (10,7%).

3.      Cinquantaquattro sono stati i paesi di origine delle persone, nel 99,9 per cento donne, che hanno beneficiato dei permessi di soggiorno per protezione sociale. La stragrande maggioranza delle donne, però, pari all’ 80%  proviene da cinque nazioni: Nigeria 23,3%, Romania 18,7%, Moldavia 15,1%, Albania 12,2% e Ucraina 10,2%.

4.      Cofinanziati dal Dipartimento per le pari opportunità, dal 2000 al 2004 sono stati 294  progetti di protezione sociale su tutto il territorio nazionale, che hanno consentito di assistere 6.781 donne vittime di tratta, di cui 318 minorenni.

5.      Confrontando il dato dei permessi per protezione sociale tra il 2000 e il 2004 – pari a cioè pari a circa 4.000 e le persone assistite dai programmi, esclusi le minorenni, pari a circa 6500 – notiamo subito uno scarto tra il numero delle persone assistite e il numero dei permessi pari a circa 2500. C’è uno scarto di quasi il 35% tra permessi di protezione sociale e donne assistite in protezione sociale.  All’assistenza sociale non è corrisposta, per una ragazza su tre, una rispettiva tutela legale a norma di legge. Si sottolinea anche la grande differenziazione regionale della percentuale dei numeri di permesso di soggiorno concessi per protezione sociale, che non corrisponde certamente al numero delle vittime nei diversi contesti regionali, dimostra da una parte la discrezionalità forte ancora presente nelle diverse prefetture.

 

 Ascoltare: i problemi

 

 

  1. Poca informazione e formazione degli organi preposti (soprattutto forze dell’ordine, ma anche enti, associazioni e gruppi) che porta discrezionalità nell’applicazione.
  2. I due percorsi delineati dal Regolamento applicativo della Legge immigrazione – che attende di essere modificato alla luce delle nuove disposizioni legislative - non hanno la stessa dignità. Si continua a favorire e facilitare in modo particolare quello collegato alla denuncia. Elemento maggiormente problematico è la tendenza a interpretare la legge seguendo una concezione premiale. Infatti, c’è la possibilità del doppio percorso: “giudiziario” e “sociale” anche senza denuncia e relativo processo, ma l’applicazione del solo percorso sociale in alcune zone è praticamente bandita. Molte Questure si rifiutano, dichiarandolo a priori, di rilasciare il permesso di soggiorno oppure il percorso sociale non è preso in considerazione da parte degli enti o associazioni iscritte al Registro Nazionale con una sorta di censura già “a monte”. Da qui il dato: il 70% dei permessi di soggiorno per protezione sociale sono stati dati in seguito alla denuncia; solo il 30% in seguito all’inizio di un percorso sociale.
  3. Troppo pochi i finanziamenti per tutte le associazioni e i progetti che seguono i percorsi delle donne vittime di tratta. Il Dipartimento Pari Opportunità ha ridotto sempre più i finanziamenti: mentre per il primo bando-appello, a fine ’99, aveva messo a disposizione oltre 8 milioni di euro e finanziato circa 40 progetti, nel bando-appello del 2003 e 2004 il Governo ha messo a disposizione una risorsa inferiore anche se ha finanziato 70-72 progetti.
  4. I  tempi  di attesa  tra la denuncia degli sfruttatori  e il rilascio del parere dei PM  sono troppo lunghi.    In molti casi si è trattato di 4 mesi, 6 mesi e più,  a cui bisogna aggiungere un altro mese per avere in mano materialmente il permesso. Gli enti che hanno in carico le donne, in questo lasso di tempo, non riescono  a progettare un percorso efficace, dato che in mancanza di un permesso di soggiorno non è possibile neppure iscrivere una donna a un corso di formazione professionale e tanto meno iniziare un percorso di reinserimento sociale.
  5. In alcune realtà territoriali, gli Enti locali troppo spesso delegano totalmente al privato sociale tutti gli oneri inerenti alla ricerca fondi, alla gestione delle parti procedurali per la realizzazione dei programmi. Assumono ma con tempi lunghi  la gestione delle competenze strettamente affidate dalla legge, rallentando enormemente i tempi; spesso non partecipano né promuovono azioni coordinate e di rete tra i soggetti coinvolti/coinvolgibili territorialmente.
  6. I rapporti difficili con le Ambasciate, i Consolati per il rilascio dei documenti d’identità, del titolo di studio, etc... continuano ad essere un problema grave. A nostro avviso sarebbe opportuno che il Dipartimento per le Pari Opportunità assuma l’iniziativa di contattare il Ministro degli esteri – che, a nostro avviso, dovrebbe far parte del Comitato di azione di Governo – per stilare accordi con i Paesi di provenienza delle vittime oltre a mettere, nei luoghi dove manca, una nostra ambasciata. Questo è un nodo dolente: costi per il rilascio dei passaporti, tempi burocratici, necessità di effettuare spostamenti verso Roma, anche più volte, quando non è addirittura necessario il viaggio in Patria, rendono l’intero iter per l’ottenimento dei documenti più difficile e pericoloso.
  7. Attuazione dell’incidente probatorio spesso senza “schermatura” tra vittima e sfruttatore, anche se prevista dalla legge.
  8. Rigetti ed espulsioni. Entrambi sono aumentati e ciò non favorisce l’applicazione della legge. A nostro avviso andrebbe fatta una seria riflessione sul “dove” si rispediscono le vittime di tratta. In Nigeria ed Albania (ma non solo), il rimpatrio equivale spesso a sottoporle ad inaudite violenze ed al pagamento di cifre alte per essere rilasciate. Cifre che pagano, molte volte, gli sfruttatori e che aumentano, in tal modo, il debito che le ragazze dovranno restituire ai trafficanti di esseri umani. A questo si aggiungano i decreti di espulsione a carico di donne che hanno effettuato la denuncia degli sfruttatori, nonostante la legge ne prevede la revoca.
  9. Molti servizi sociali per i minori  non prendono in considerazione  la situazione dei figli eventualmente presenti con le donne, e non si attivano per la loro tutela,  finché i bambini non sono inseriti nel  permesso di soggiorno  della madre. Le situazioni più deboli rimangono così scoperte troppo  a lungo.
  10. Nessuna possibilità di applicazione dell’art. 18 per le ragazze vittime di tratta provenienti da paesi comunitatari. Difficoltà ad estendere anche ad altri soggetti, soprattutto uomini e vittime di tratta per scopi sessuali, l’applicaziojne dell’art. 18.

 

Le scelte: le prospettive politiche e sociali

 

1.      Ampliare la possibilità dell’art. 18 in alcuni ambiti (traffico di esseri umani, lavoro nero, traffico di organi, familiari di vittime …) e in alcuni luoghi (uffici di tutela delle Questure, Centri di identificazione, Centri di permanenza temporanea…).

2.      Monitorare il cambiamento degli effetti dell’art. 18 in seguito al mutamento del fenomeno della prostituzione che dalla strada si sposta fortemente anche al chiuso.

3.      Rafforzare il fondo e le risorse a livello nazionale per la rete dei progetti sociali per una grande azione di tutela della dignità delle donne vittime di tratta che interpelli il mondo degli enti locali, delle associazioni, dei cittadini: quasi una nuova Merlin che, a partire anche da tradizioni culturali e sociali diverse, metta al centro, come ieri, la tutela della dignità della persona, in particolare della donna.

4.      Scoraggiare se non addirittura vietare il rimpatrio di una ragazza prostituita sulla strada e che viene condotta in Questura, prima di aver iniziato un periodo di accompagnamento sociale e sanitario che possa sfociare in un percorso di tutela e protezione sociale.

5.      Favorire progetti di cooperazione decentrata che possano realmente accompagnare ‘il ritorno a casa’,  e non semplicemente curare ‘il rientro in Patria’, rafforzando e allargando le reti nazionali a reti europee e internazionali.

6.      Estendere l’applicazione dell’art. 18 anche alle donne provenienti da Paesi comunitari (Polonia, Lituania…), anche in riferimento all’ingresso nel 2007 della Romania e della Bulgaria, paesi da cui provengono molte vittime.

7.      Diventa sempre più importante prevedere una formazione congiunta con tutti gli attori che intervengono in questo settore. Dove questo si è realizzato i risultati sono più che evidenti e positivi. E' necessario che venga incentivato il lavoro di rete, sempre più importante in un sistema di tutela e di prevenzione come questo. E’ importante anche dare riconoscimento alle buone prassi avviate e incentivare azioni concertate (interdisciplinari, interistituzionali, territoriali…).

8.      Ripensare il Numero Verde e attivare una campagna informativa capace di incidere realmente e pubblicizzando il numero soprattutto nelle Questure, nelle stazioni e sui mezzi pubblici che servono le aree urbane ed extraurbane e quindi autobus, tram, treni e metropolitane. E a proposito di informazione sarebbe opportuno che il Dipartimento Pari Opportunità potesse farsi carico di una attenzione educativa dei giovani al rapporto uomo- donna  che parta dalla scuola e si estenda anche agli strumenti di comunicazione (p.es. RAI). 

9.      Per quanto riguarda il prossimo bando di partecipazione ai fondi destinati all'applicazione dell'articolo 18 suggeriamo che venga fornita una linea di indirizzo scritta, così che tutti possano acquisirla ed orientarsi nella stesura dei progetti. Sarebbe decisamente opportuna la pubblicazione dell'elenco dei progetti approvati (completa di indirizzi, fondi stanziati ecc.), le postazioni del Numero Verde, e le azioni di sistema finanziate. Sembra necessario anche dare prospettive ai progetti. L’entità dei finanziamenti e l’incertezza degli stessi pongono a rischio un impegno di lotta alla tratta e alle violenze ad essa connesse. Apprezziamo gli sforzi fatti per andare incontro ai numerosi progetti presentati ma, nonostante ciò, si sono verificati “tagli” che hanno impedito la realizzazione dei tanti interventi previsti.

10.  Ricostituire il Comitato di azione di governo per la lotta al traffico di esseri umani in quanto è stato un luogo privilegiato dove Istituzioni e Privato sociale hanno potuto confrontarsi e lavorare insieme proficuamente, per monitorare l’applicazione della legge studiando, di volta in volta, le iniziative necessarie per favorirla (circolari ecc.). Questo tavolo dovrebbe essere un luogo non solo tecnico, ma di dialogo con il mondo delle associazioni, enti per costruire una linea politica.

 

       

 

 

Allegato 1

 

ITALIA. Permessi rilasciati ex articolo 18 (2001-2004)

Regione

2001

2002

2003

 

 

 

2004

 

 

 

% vert. 2004

 

 

somma 2001-2004

 

 

% verticale (2001-2004)

Progetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piemonte / V. Aosta

150

81

113

103

12,7

             447

13,7

37

Lombardia

35

135

65

112

13,8

             347

10,7

23

Liguria

18

61

52

66

8,1

             197

6,1

12

Trentino A.A.

11

12

15

11

1,4

              49

1,5

2

Veneto

49

81

77

82

10,1

             289

8,9

32

Friuli V. G.

9

3

13

8

1,0

              33

1,0

13

Emilia R.

109

162

170

160

19,7

             601

18,5

8

Toscana

33

48

51

33

4,1

             165

5,1

31

Marche/Abruzzo/Molise

53

23

23

17

2,1

             116

3,6

12

Umbria

25

25

35

23

2,8

             108

3,3

12

Lazio

71

52

81

52

6,4

             256

7,9

18

Campania

14

6

7

12

1,5

              39

1,2

21

Puglia/Basilicata

115

106

114

88

10,9

             423

13,0

30

Calabria

2

8

2

8

1,0

              20

0,6

8

Sicilia

42

23

20

25

3,1

             110

3,4

24

Sardegna

8

22

13

11

1,4

              54

1,7

11

Totale

744

848

851

811

100,0

          3.254

100,0

294

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazione dati Ministero Pari Opportunità

 

 

 

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