Convegno pastorale unitario della Campania - 24/10/05

su Migranti: Pastorale di Accoglienza e di Integrazione

LA CURA PASTORALE DEI MIGRANTI E PASTORALE D'INSIEME

1.1. Ringrazio sentitamente per questo invito, anche perché mi dà l'occasione per ricordare lo spostamento della Giornata delle Migrazioni dalla terza domenica di novembre, alla seconda domenica dopo l'Epifania. Uno spostamento avvenuto. per decisione della Santa Sede, e la

Conferenza Episcopale Italiana ci ha detto di  adeguarvici in santa pace, anche se abbiamo presentato a voce e con formale  pro-memoria le difficoltà non tanto di cambiare data, quanto di  portarla a ridosso del periodo natalizio e di diverse altre ricorrenze che cadono nel mese di gennaio

(come la Festa dei popoli per l'Epifania in tante diocesi, la Giornata della Santa Infanzia, la Giornata mondiale del lebbroso, la Settimana di preghiera per l'Unità delle Chiese). Ci rimettiamo alla comprensione delle singole Chiese locali perché questa novità non comprometta la celebrazione

della Giornata, che non è più nazionale, ma diventa Mondiale, come la Giornata missionaria.

 

1.2. Comunque come Migrantes, con l'assenso e l'incoraggiamento della Commissione Episcopale per le Migrazioni, abbiamo stabilito di mantenere a novembre le iniziative di informazione e sensibilizzazione sulla pastorale

migratoria e pertanto anche il tempestivo invio dei sussidi per la celebrazione della Giornata (numero speciale di "Servizio migranti", poster, incontri e

seminari sui singoli settori della mobilità umana). lo vedo l'incontro odierno anche in questo contesto di preparazione remota alla Giornata che quest'anno cadrà il 15 gennaio 2006.

2.1. Il titolo della Giornata: "Migrazioni segno dei tempi ", è quello proposto dalla Santa Sede, ossia dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; lo si sa solo per via confidenziale, perché non è stato ancora ufficializzato. Al tema dovrebbe corrispondere il Messaggio del S. Padre, un messaggio che puntualmente per 20 anni Gioyanni Paolo II ha inviato alla Chiesa Universale e che costituisce in se stesso una specie di compendio della teologia, della pastorale e della spiritualità delle migrazioni, oltre che un capitolo importante della Dottrina sociale della Chiesa. Che il nuovo Papa prosegua in questa tradizione lo si spera, comunque non c'è ancora una conferma ufficiale. La Migrantes non poteva attendere ulteriormente perciò in Italia la scelta del titolo della Giornata è definitivo e il materiale è già dato alle stampe. . .

2.2. Il tema ci porta nel cuore della pastorale migratoria, proprio nella logica della storia della salvezza. E' sufficiente ricordare che le grandi tappe della storia della salvezza dell' Antico Testamento sono costituite da grandi migrazioni: quella di Abramo che "esce dalla sua terra", del popolo eletto che ripara in l'Egitto, dell'Esodo attraverso il deserto, della deportazione in Babilonia. Gesù segue le stesse tracce: nasce fuori casa e fuori patria, costretto anche lui a fuggire in Egitto, tutta la sua vita pubblica è itinerante; la dispersione dei primi cristiani dopo l'uccisione di Stefano, dispersione che diventa un'opportunità per portare l'annuncio della parola fuori di Gerusalemme e

oltre i conifini della Giudea e Galilea.

2.3. Non è forzatura vedere le odierne migrazioni in continuità con questi esodi biblici: è la stessa mano provvidente che li dirige; lo affermiamo anche se le odierne migrazioni, come del resto le migrazioni di ogni tempo a partire da quelle bibliche, avvengono all'insegna della confusione e della irregolarità, sono conseguenza di oppressioni e di ingiustizie, sono cariche di tante sofferenze.

Dio sa scrivere diritto anche sulle nostre righe storte. Nulla sfugge al suo disegno di salvezza. Le migrazioni continuano ad essere segno dei tempi.

3.1. Ma attenzione: i segni dei tempi è necessario saperli discernere. La parola di Gesù è forte: "Non sapete leggere i segni dei tempi?". E' un richiamo alla nostra responsabilità, non  semplicemente all'acume della nostra intelligenza, ma alla nostra vigilanza nel senso evangelico del termine, alla nostra coscienza morale: riconoscere i segni e tirarne le conseguenze, che non possono

non essere impegnative. Il sociologo può essere molto interessato ai movimenti migratori e può descriverli puntualmente, ma stando alla finestra e osservando con curiosità o con interesse scientifico quello sta succedendo in piazza. Il cristiano.. e tanto più il pastore scende in piazza e si lascia coinvolgere. Prudenza, discrezione, gradualità possono dettare le modalità dell'impegno, ma

non sono scusa per il disimpegno.

3.2. Certuni anche in Italia, per i loro Gondizipnamenti ideologici o politici, a giustificazione del loro disimpegno o di qualcosa di peggio, .ricorrono di fatto .all'insolente pretesto di Caino: "Sono io il custode di mio fratello?"; per loro valè la risposta di Gesù forte come una minaccia: "Ipocriti".  Grazie a Dio, questo non è il caso noStro e delle nostre comunità ecclesiali. Tuttavia anche per noi è serio e doveroso dornandarci fino a che punto ci impegnano a riconoscere questi segni e fmo a che punto rispondiamo al conseguente impegno. Ci sono molte scusanti, la prima delle quali è il tanto, tantissimo lavoro che ci avvolge e talvolta ci travolge; un lavoro tradizIonale, che fa parte della nostra routine quotidiana, al quale è comprensibile che si dia la precedenza. E se sentiamo il Papa avvertirci che "le migrazioni oggi sono una priorità pastorale", ci viene spontaneo ribadire: "Sì, ma ci sono tanti altri impegni pastorali che da sempre, e anche oggi, richiedono priorità - A tutto non si

può arrivare".

3.3. Occorre valutare con tanto rispetto questa situazione concreta, che può tradursi in mentalità e stato d'animo. E siamo qui oggi per valutare come, sotto la guida del Vescovo, con l'aiuto fraterno tra noi, con un pizzico di santo coraggio possiamo fare in modo che il tanto da fare, le tante priorità

incombenti non rimuovino, non declassino quest'altra priorità che Santa Chiesa in tanti modi  diversi ci propone e ripropone; è un segno dei tempi, che merita vigilanza e l'ansia del Buon Pastore. E se ormai è comune parlare di conversione pastorale, dobbiamo con grande sincerità dornandarci, senza indebite inquietudini, se questa conversione non debba essere orientata anche

verso il fenomeno migratorio come oggi si propone. Una volta era piccola nube all'orizzonte, nessuno o ben pochi vi facevano caso; oggi la nube si è allargata, si è addensata un po' ovunque sul cielo della nostra Chiesa italiana e delle Chiese particolari e potrebbe essere portatrice di piogge ristoratrici o di una grande burrasca che nulla risparmia; è una specie di parafrasi di quanto dice

Gesù. Cambiando immagine: una volta era piccolo rigagnolo che scendeva dal monte senza destare allarmi, poi si è ingrossato è diventato torrente in piena: queste acque potrebbero, ben incanalate, diventare ristoro alle nostre

campagne o tracimare dagli argini con forza devastante. Ma siamo qui per dirci che l'una o l'altra cosa non dipendono da fattori "x", da fatalità; dipendono almeno in tanta parte dal nostro impegno. Questo è un discorso da fare, secondo le rispettive competenze, agli amministratori, ai mass media, agli uomini della cultura e dell'economia; ma dobbiamo farlo anche a noi stessi, per il nostro specifico campo di azione, pastorale; un campo amplissimo perché ha

risvolti in tanti altri settori e non può non avere riflessi anche sulla società civile e politica.

4.1. Dunque il primo segno dei tempi ci viene appunto dalla piccola nuvola che da tempo continua ad estendersi sul nostro cielo, con tinte anche non tanto rasserenanti, dal piccolo filone d'acqua che continua ad ingrossarsi per

diventare torrente anche impetuoso. Avvertire questo passaggio è già

avvertire il segno dei tempi. Tre milioni di immigrati costituiscono novità, una novità che può tradursi in risorsa o problema; il flusso poi cresce per vi. regolari e irregolari e per le seconde generazioni che avanzano; nuovi filoni si fanno strada, voglia o non voglia. Ormai le migrazioni sono fatto stabile e strutturale, in continua crescita. Limitarsi a ripetere che si è decisi a contrastarle, è imprecare contro le stelle. Questo è per tutti, per noi pastori soprattutto, un segno dei tempi da cogliere con attenzione e coraggio apostolico.

4.2. Da questo segno altri ne scaturiscono, o piuttosto in questo segno ne riscontriamo altri, e tutti

. di estrema importanza. Nella presentazione del tema della Giornata, inviata già da tempo ai  Direttori diocesani della Migrantes, riportata nel sussidio di "Servizio Migranti" e allegata a questa mia relazione, altri ne vengono segnalati, che qui mi limito a elencare: il pluralismo di lingue, culture ed etnie, che può configurarsi come una nuova Babele o una nuova Pentecoste, e molto dipende da noi; lo squilibrio socio-economico e il disordine politico del pianeta, causa di esodi più o meno forzati in tutte le direzioni; il progressivo invecchiamento e calo demografico dei Paesi sviluppati, fi:a i quali l'Italia tiene, come ben sappiamo e deprechiamo, un triste primato; . segno esterno, ma notevolmente efficace, della cattolicità della Chiesa; nuove vie per l'impresa ecumenica e missionaria di evangelizzazione.

5.1. Quest'ultimo segno merita una più. sviluppata riflessione, perché l'evangelizzazione precede e accompagna qualunque altra attività della Chiesa, anche fi:a i migranti. E se non lo facciamo noi, lo farà qualche altro che non intendiamo chiamare figlio delle tenebre, che però tanto spesso si mostra più scaltro e attivo "dei "figli della luce", trovando un campo libero, direi incontrastato, per la sua azione. E' triste vedere che ibridi movimenti religiosi, come quelli dell' America latina, Testimoni di Geova e poi i cosiddetti Pentecostali o Evangelici, penetrano tra i migranti, cattolici o non cattolici, fanno opera persuasiva, trascinano nei loro centri, spesso all'insaputa dei nostri pastori. Viene spontaneo pensare al Buon pastore, all'ansia per le pecore sbandate fuori dell'ovile, al disinteresse del mercenario per il gregge lasciato in preda al lupo rapace. Capiamo bene che questa non è retorica, ma autentico vangelo.

5.2. L'azione missionaria va intrapresa e portata avanti su tutto il fronte, sul triplice fronte migratorio che ci si presenta davanti: quello dei cattolici, quello dei cristiani non cattolici e quello dei non cristiani. In modo approssimativo possiamo dire che i cattolici sono circa il 30%, i cristiani

non cattolici il 20%, in larga maggioranza ortodossi dell'Est europeo, il 50% i non cristiani, fra i quali superano il 30 i musulmani. Tutti benché in grado diverso appartengono al gregge di Cristo, verso tutti, anche verso i non cristiani, siamo debitori del Vangelo. Schematicamente passiamo in

rivista queste tre categorie di migranti.

5.1. lfedeli cattolici anzitutto: molti di essi sono ferventi fedeli, altri li diciamo cattolici solo perché battezzati nella Chiesa cattolica: gli uni e gli altri hanno non soltanto bisogno, ma diritto ad avere dalla nostra Chiesa italiana un sostegno efficace per la conservazione o il risveglio della loro fede e vita cristiana, come raccomanda il Conciglio Vaticano II n. 16 e 18), in particolare nel Decreto "Christus Dominus" e viene ripetutamente richiamato da Paolo VI e da Giovanni Paolo TI. Basti citare il passo del Motu Proprio di Paolo VI Pastoralis migratorum cura. Dopo' aver richiamato un  passo del citato Decreto sulla cura pastorale dei migranti, prosegue: "Si comprende facilmente che non è possibile svolgere in maniera efficace questa cura pastorale, se non si tengono in debito conto il patrimonio spirituale e la cultura propria dei migranti. A tale riguardo ha grande importanza la lingua nazionale, con la quale essi esprimono i loro pensieri, la loro mentalità, la loro stessa vita religiosa". L'Istruzione pontificia, uscita quasi in contemporanea nel 1969 per mandato espresso di Paolo VI, porta a concreta applicazione questa linea pastorale, per consentire ai cattolici stranieri di costituire comunità di fede e di culto fatte su misura di qbesta loro profonda identità che non si cancella quando si riesce a pronunciare qualche parola in italiano e a recitare nella nostra lingua qualche preghiera. Il nucleo centrale di detta Istruzione è il seguente: "I migranti portano con sé il loro modo di pensare, la propria lingua, la propria cultura e la propria religione. Tutto ciò costituisce un patrimonio, per così dire, spirituale di pensieri, di tradizioni, di cultura che perdurerà anche fuori della patria. Esso perciò deve essere dappertutto tenuto in grande conto. Non ultimo posto deve avere in questo campo la lingua dei migranti attraverso la quale essi esprimono la mentalità, le forme di pensiero e di cultura e i caratteri stessi della loro vita spirituale". Fino a qui l'Istruzione è come una parafrasi delle parole di Paolo VI. Quindi viene tratta la conseguenza: "Poiché tutto questo rappresenta il mezzo e la via naturale per conoscere e comunicare gli intimi sentimenti dell'uomo, la cura dei migranti porterà certamente più abbondanti frutti, se presentata da

quanti conoscono bene tali fattori e posseggono, nel senso più pieno, la lingua degli stessi migranti. Appare quindi evidente e risulta confermata l'opportunità di affidare la cura dei migranti a sacerdoti della stessa lingua, e ciò per tutto il tempo richiesto da vera utilità" (n. Il). Dunque viene in modo categorico affermata l'esigenza di una p~oraJ.e specifica per i migranti con propri operatori pastorali e, per quanto possibile, con proprie strutture.

5.2. E il parroco della parrocchia territoriali in cui i migranti risiedono? Non gli viene tolta assolutamente la responsabilità morale e nemmeno quella giuridica nei confronti di questi migranti. Anzi viene ribadita con parole forti: "L'assistenza spirituale di tutti i fedeli, e quindi anche dei migranti che risiedono nel territorio di una parrocchia, ricade soprattutto sui parroci che dovranno

un giorno rendere conto a Dio del mandato eseguito. Essi perciò sappiano condividere un compito tanto grave con il cappellano o missionario, quando questi si trova sul posto" (n. 30,3).

5.3. Dunque si tratta di condividere, si tratta di armonizzare la duplice esigenza della pastorale specifica e l'inserimento nel contesto della pistorale ordinaria del luogo. In altre parole si tratta di garantire e armonizzare la duplice esigenza della conservazione della propria identità anche religiosa e della progressiva integrazione anche nelle strutture territoriali della Chiesa locale. Un

compito bello, affascinante, ma in pratica non facile; però per il fatto che non sia facile, che non scatti automaticamente non va eliminata l'una o l'altra esigenza, quasi che siano incompatibili. Esse esigono attenzione, saggezza, pazienza, qualche rinuncia e sofferenza, ciò che è una novità nelle nostre Chiese. Anche il gruppo scout o quello dei focolarini, dei catecumenali, del rinnovamento nello spirito comportano simili problemi. E' inutile insistere, perché su tale materia la Chiesa si è già pronunciata più di una volta in modo chiaro ed equilibrato.

5.4. E per quanto tempo si andrà avanti con questa formula? Abbiam~ già sentito la risposta dell'Istruzione pontificia: "per tutto il tempo richiesto da vera utilità" (n. 11). A Piana degli Albanesi in Sicilia e a Lungro in Calabria si continua ad andare avanti da cinque o sei secoli; nel Brasile e in genere in America si è andati avanti per due o tre generazioni;' ed ora che il processo di

integrazione è favorito da tanti mezzi di cui non si disponeva nel passato, può essere che si tratti di un processo ancora più abbreviato, ma, secondo la mente della Chiesa, tale processo dev'essere progressivo e spontaneo, può anche essere favorito, ma non forzato, non imposto. Qui si dovrebbero aggiungere tantissime precisazioni, ad esempio che diversa è la situazione della prima e

seconda generazione, di chi ha un progetto migratorio definitivo e di chi fa il conteggio alla rovescia per rientrare nel suo paese, di chi - nonostante la diversità di lingua - è di rito romano e chi è di rito orientale.

5.5. Altro interrogativo, spesso formulato a modo di difficoltà insormontabile. E dove sono gli operatori pastorali idonei a questa pastorale specifica? La risposta è articolata: Alcune grosse comunità etniche, per accordo tra il vescovo della Chiesa di partenza e di arrivo, hanno un sacerdote etnico a disposizione. Si tenga presente che il Italia ci sono 54.000 stranieri con permesso di soggiorno per motivi religiosi: molti di loro sono sensibili all'appello evangeftco: "Andate anche voi a lavorare nella mia vigna", magari durante la week-end od anche soltanto per alcune ore che però risultano

preZIose. Abbiamo in Italia centinaia di missionari di Istituti religiosi o sacerdoti "fidei donum" rientrati con un ricco patrimonio non soltanto linguistico e molti anche con una gran voglia di continuare- un'opera missionaria che richiami la forte esperienza fatta in terra di missione. Abbiamo oltre 1800 sacerdoti stranieri inseriti nelle nostre dioces4 sono entrati nel sistema di sostentamento del clero, sono incardinati o almeno hanno una certa stabilità nella diocesi di

accoglienza. Religiose e laici, sia italiani che stranieri, si danno a questa a questa pastorale con vera passione e competenza; in più casi sono loro gli iniziatori di qualche centro pastorale specifico. Le formule possono essere diverse: una comunità (ades. una Missione con Cura d'Anime) con

proprio sacerdote e struttura, dové si svolge attività completa come nelle normali parrocchie in continuità; altre comunità meno numerose e Strutturate dove si fa il servizio pastorale specifico una o due volte al mese e si insiste perché per le altre feste si fi'equenti la Chiesa parrocchiale. Ci sono i Coordinatori nazionali per le più numerose etnie o nazionalità: essi sono ufficialmente investiti del compito di coordinare, di provvedere dove -c'è bisogno. L'intesa tra Coordinatore, Direttore diocesano Migrantes e parroco del luogo fanno sì che si possa provvedere provveda a questa porzione del Popolo di Dio in-modo non ideale, ma comunque efficace e prezioso.

6.1. I fedeli cristiani di altra confessione, in particolare gli ortodossi. E' la vera novità degli ultimi anni: gli immigrati provengono soprattutto dall'Est europeo; tranne i polacchi, sono in larga maggioranza ortodossi e questa ondata è bel lontana dal rallentare la sua portata. Prendiamo atto, ma sforzandoci di leggervi un vero segno dei tempi. Benedetto XVI fin dall'inizio ha dichiarato che lo sforzo ecumenico sarà una priorità del suo pontificato.

6.2. Vogliamo dargli una mano? Siamo convinti che l'ecumenismo si costruisce non solo agli alti vertici, ma pure alla base, lontano da ogni proselitismo. Ci sono già iniziative di alto significato: ai Romeni ortodossi in Italia le nostre diocesi finora hanno dato in uso una quarantina di Chiese e da

qualche mese c'è in Italia un vescovo ortodosso con giurisdizione su queste comunità; tante ucraine ortodosse sentono vuota la domenica senza la divina liturgia e volentieri si aggregano alle colleghe cattoliche che hanno la fortuna di avere un servizio liturgico nel loro rito; centinaia di migliaia (ma potremmo andare oltre il mezzo milione) di collaboratrici familiari fanno servizio dentro le nostre case, a quotidiano contatto con vecchi e bambini, con l'intero gruppo familiare. Una sola domanda: non ha niente a che fare questa nuova realtà, non dà spunti numerosi e feliCi più di dieci anni fa al movimento ecumenico? Le iniziative ecumeniche sono molto più di qualche anno fa a portata di

mano delle nostre parrocchie, di nostri gruppi impegnati, addirittura delle nostre famiglie. Non si potrebbe quest'anno stampare mezzo milione di copie in più del sussidio per la Settimana di preghiera e distribuirlo nelle famiglie dove fa servizio un collaboratore o una collaboratrice familiare? Perché per la causa dell'ecumenismo non si coglie questo segno dei tempi? Perché non superiamo la tentazione di dire: sarebbe bello, ma è una ingenua utopia?

7.1. I non cristiani: anche questa è una "inedita" occasione di evangelizzazione nelle forme, che ben sappiamo, del dialogo ed anche del primo annuncio. Anche questa non è utopia: lo dicono i battesimi di stranieri adulti di cui siamo, credo un po' tutti, testimoni con accelerata fi'equenza nelle

nostre Chiese. In certe diocesi ogni anno si tratta di qualche decina nella Veglia pasquale. E' un - segno formidabile dei tempi: nempre nel contesto della "missio ad gentes" ora non siamo soltanto noi che andiamo alla missione, ma è la missione che viene a noi. Da qui ha tratto il titolo il grande

convegno, organizzato da diversi organismi della CEI nel 2003: "Tutte le genti verranno a te".

7.2. Siamo poi tutti convinti che dell'opera di evangelizzazione non è segno solo il fonte battesimale, ma pure la scuo la di religione, fi'equentata da alunni stranieri anche non cristiani, l'oratorio, i nostri gruppi sportivi o culturali frequentati da immigrati; e poi il dialogo, più o meno strutturato, il dialogo soprattutto della vita quotidiana, e tante altre cose.

8.1. Una pastorale d'insieme. Col medesimo titolo del Convegno del febbraio 2003 è uscito quasi  'un anno fa la "Lettera alle comunità cristiane per una pastorale d'insieme". Una lettera inviata dal

Consiglio Episcopale Permanente ai conftatelli vescovi. Sarebbe interessante rifare la storia di questa lettera e del suo nucleo essenziale, che presento in questi termini essenziali: l'immigrazione, per riprendere l'immagine già presentata, non è più piccolo rigagnolo ma torrente impetuoso (non

necessariamente minaccioso) che sotto i nostri occhi di giorno in giorno si ingrossa, aumenta il volume delle sue acque. Penetra così in tutte le articolazioni della nostra vita civile e, di riflesso, nella vita ecclesiale: nell'ambiente del lavoro, della scuola, del tempo libero, dello sport, della cultura; cresce il mondo giovanile, crescono. i gruppi familiari, cresce lo sforzo per uscire

dall'emergenza, ma cresce pure la sacca ddle povertà. Ogni aspetto della nostra pastorale è sempre più interessata a questo evento migratqrio, che ormai Q.on è più nuovo: è parte integrante e strutturale della nostra società civile ed ecclesiale. E può capitare che per caso o per eccesso di zelo i nostri organismi ecclesiali e gruppi di ispirazione cristiana 'intervengano in modo non coordinato e sintonizzato negli stessi ambiti, con dispendio di forze che potrebbe dare addirittura l'impressione della concorrenza. Di qui l'opportunità di non affidarci soltanto alla nostra buona volontà, alle nostre buone intenzioni e di organizzare in modo razionale e strutturato una vera pastorale d'insieme? L'idea si è fatta strada proprio in occasione del citato convegno, dopo la cui celebrazione si è ragionato così: grazie a Dio il convegno è bene riuscito grazie alla collaborazione sistematica di Caritas, Migrantes, Ufficio della Catechesi e Catecumenato, Ufficio per la cooperazione missionaria fra le Chiese. Questi uffici hanno deciso di passare dal dire al fare, hanno interessato le rispettive Commissioni Episcopali, ne hanno avuto l'approvazione, hanno elaborato e

rielaborato la loro proposta, che è stata sottoposta al vertice della CEI ed ha preso corpo in questa breve "Lettera alle comunità cristiane".

8.2. Quali i settori della pastorale interessati a questo lavoro d'insieme? In parte sono stati  esemplificati, qualcosa di più si può trovare nella seconda parte della lettera, che possiamo sfogliare rapidamente. Credo non occorrano altre parqle per convincere della bontà della causa.

8.3. Ma qui sta il nocciolo del problema. Per rendere effettivo e stabile questo procedere in sintonia di intenti e di azioni è necessario un minimo di struttura che possiamo chiamare commissione o segretariato o più semplicemente coordinamento. I mezzi per tenersi reciprocamente informati, per scambiare proposte, per stendere programmi ora non sono soltanto le mattinate di incontro o addirittura convegno e seminari, per i quali manca il tempo. Certamente ogni tanto sarà ben incontrarsi di persona anche per conoscersi meglio e stringere più stretta l'amicizia, ma ordinariamente ora si fa ricorso al telefono, al fax, all'e-mail, al sito internet.

8.4. Se si parla di coordinamento, è necessario un coordinatore. Già, ma non è necessaria una nuova figura nell'organigramma della Curia Vescovile. La Lettera suggerisce un vicario episcopale o il direttore di un ufficio di curia, sufficientemente competente e disponibile per questo servizio. Spetta al Vescovo della diocesi discernere nella concretezza della situazione' locale la formula migliore; se la designazione cadesse sul Direttore diocesano della Migrantes, spero vivamente che egli non si sottrarrà a questo nobile servizio.

9.1. Convegno ecclesiale di Verona. Le diocesi sono impegnate in quest'anno pastorale nel prepararsi all'importante appuntamento decennale della Chiesa Italiana. Anche chi è interessato al settore particolare delle migrazioni, penso vorrà dare un suo contributo; senza peraltro costituire

gruppi e programmare incontri a parte. E' bene inserirsi m'lle iniziative diocesane, portando al di dentro di queste iniziative il proprio specifico contributo.

9.2. A tale scopo la Migrantes ha già elaborato una sua lettura specifica della Traccia di riflessione redatta dal Comitato nazionale promotore.