DA AVVENIRE DEL 18-02-2010

 LUCA MAZZA

R ispetto ai loro coetanei mostrano una mag­giore abilità nella risoluzione dei problemi e sviluppano una capacità di concentrazione, durante i compiti in classe, che li rende impermea­bili ai rumori e li fa restare concentrati sull’esercita­zione. Chi sono? I bambini bilingui. Recenti ricerche hanno dimostrato come, chi parla due lingue già dai primi anni di vita, abbia spesso una marcia in più ri­spetto agli altri. E l’aspetto sorprendente è che i van­taggi non si limitano al campo prettamente lingui­stico, ma sconfinano anche in altri settori come quel­lo sociale e della comunicazione. Lo sostiene Maria Kihlstedt, docente all’università Paris-X Nanterre ed esperta in acquisizione precoce di una seconda lin­gua, intervenuta alla conferenza «Il bilinguismo in­fantile: manna o fardello?», che si è tenuta al centro culturale Saint Louis de France a Roma. Secondo la psicolinguista, infatti, gli ultimi studi in materia di­mostrano che «chi fin dall’infanzia viene indirizzato all’apprendimento di una seconda lingua presenta negli anni successivi un’ampia elasticità mentale e u­na percezione molto acuta e sottile delle regole co­municative ». Certo, la vita del bambino bilingue non è tutta «ro­se e fiori». Spesso nei primi anni di scuola si può in­correre in problematiche relative alla lingua scritta. Inoltre, altro fenomeno diffuso nei primi periodi di apprendimento, è quello della mescolanza. «Per un bimbo bilingue ad esempio - spiega la Kihlstedt ­può venire naturale inserire una parola francese in una frase che sta pronunciando in italiano. Ma epi­sodi come questo non devono destare eccessiva preoccupazione nei genitori, anzi sono il segno evi­dente che l’apprendimento della seconda lingua sta procedendo con successo. Occorre solo pazienza, perché è impossibile ottenere ottimi risultati nel bre­ve periodo». Dopo aver spiegato la differenza tra il bilinguismo si­multaneo (quando si acquisisce fin dalla nascita) e quello successivo (dai 3 ai 7 anni) la do­cente ha sottolineato come l’arrivo al rag­giungimento da parte del bambino di un «bilinguismo equilibrato» (quello che non prevede alcuna difficoltà nel pas­saggio da una lingua all’altra) richieda un lavoro continuo da parte della fami­glia. «Occorre creare delle situazioni in cui la lingua debole sia l’unica soluzione possibile per il bambino – spiega – altri­menti il piccolo non vede la necessità di dover comunicare in una lingua diversa da quella del Paese in cui vive». Il rischio, infatti, se non si seguono queste regole base, è quello di arrivare a quello che gli esperti definiscono bilinguismo sottrat­tivo, cioè quando il processo di acquisizione della lin­gua minoritaria avviene a scapito di quella materna. Grazie a recenti ricerche si è riscontrato però che non è necessario aver acquisito completamente una lin­gua per impararne un’altra. «La lingua minoritaria – afferma la docente – non mangia il capitale della lin­gua dominante». Anzi, un’educazione bilingue com­porta da adulti una maggiore capacità di apprendi­mento di altre lingue. Le strategie per apprendere il linguaggio acquisite nell’infanzia consentirebbero infatti – secondo uno studio della Northwestern U­niversity – di imparare con più facilità altre lingue in futuro. Per dimostrare questo è stato chiesto a tre gruppi di studenti (monolingui inglesi, bilingui in­glese- spagnolo e bilingui inglese-mandarino) di me­morizzare vocaboli in una lingua inventata, che non aveva alcuna relazione né con l’inglese né col man­darino. I bilingui di entrambi i gruppi erano in grado di ricordare quasi il doppio delle parole dei mono­lingui. Il professor Marco Tamburelli, docente di Bi­linguismo all’università di Bangor (Galles) aggiunge che un bambino bilingue «ha la capacità di ricorda­re un numero di informazioni di gran lunga supe­riore rispetto a un suo coetaneo monolingue».

Queste scoperte scientifiche sembrano aver sgom­brato il campo dai pregiudizi che sono sempre esi­stiti nei confronti di un’educazione bilingue. Nell’e­poca del nazionalismo, in cui vigeva la logica «uno Stato e dunque una lingua», il bilinguismo veniva ad­ditato come «nocivo» e la mescolanza di più lingue veniva vista come una forma di «bastardaggine». «Og­gi ovviamente non è più così – sostiene la Kihlstedt – anche perché forse non tutti sanno che una gros­sa fetta della popolazione mondiale è bilingue e che il monolinguismo dell’Occidente, in questo senso, rappresenta un’eccezione». Senza considerare il co­siddetto bilinguismo da immigrazione. È un feno­meno che ci riguarda da vicino. Ogni anno in Italia nascono circa 60mila figli di cittadini stranieri. So­no cittadini italiani in piena regola e sono tutti po­tenziali bilingui.

Ricerche condotte in Europa e negli Usa hanno dimostrato, attraverso una serie di test, che i bambini in grado di padroneggiare due o più lingue hanno maggiore facilità di apprendere rispetto ai coetanei che parlano una sola lingua