Presentata alla Camera la relazione del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza).

Un traffico illegale che alimenta prostituzione minorile, accattonaggio e lavoro nero. Secondo l’Unodc l’incasso netto nel 2007 toccò i 91,2 miliardi


La tratta degli schiavi «minaccia allo Stato»

 

P er volume di affari è seconda solo al narcotraf­fico, in un testa a testa col contrabbando di ar­mi. È la tratta di esseri umani, il business della multinazionale del crimine che porta nelle tasche dei nuovi negrieri miliardi di dollari l’anno da reinvestire in altre attività criminali. E a volte va addirittura a be­neficiare organizzazioni terroristiche. Tutte ragioni che fanno dire al Comitato parlamentare per la sicu­rezza della Repubblica che la tratta «rientra a pieno ti­tolo nel perimetro delle minacce asimmetriche» nei confronti dello Stato. Quelle cioè che gli esperti di stra­tegia definiscono come tattiche che esulano dal con­fronto militare, quando il contendente non può mi­surarsi alla pari e sceglie gli attentati, i sabotaggi. O i traffici illegali dalle conseguenze devastanti. Prostitu­zione spesso minorile. Accattonaggio. Lavoro nero con orari e paghe da prima rivoluzione industriale. Perfi­no espianto di organi. È il quadro drammatico che e­merge dalla relazione su La tratta di esseri umani e le sue implicazioni per la sicurezza della Repubblica , rea­lizzata dal Comitato parlamentare per la sicurezza sel­la Repubblica, presentata ieri a Montecitorio dal pre­sidente del Copasir Francesco Rutelli.
«Sulle nostre strade ormai non dobbiamo vedere so­lo immigrati clandestini, ma nuovi schiavi», dice il se­natore Rutelli. «È un problema di sicurezza e un pro­blema umanitario di prima grandezza», aggiunge. In 110 cartelle il Copasir trae le conclusioni di 45 sedute e di audizioni di addetti ai lavori come i ministri del­l’Interno e della Giustizia, i comandanti della Finan­za e dei Carabinieri, il procuratore nazionale antima­fia, il direttore dell’Unicri (istituto di ricerca sul crimi­ne e la giustizia interregionale delle Nazioni Unite), il direttori dei servizi segreti interni ed esteri.
Secondo l’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite per il cri­mine e la droga, la tratta dunque «sarebbe divenuto il secondo business illecito globale dopo il narcotraffi­co ». I redditi illegali della schiavitù mondiale nel 2007 ammonterebbero a 157,3 miliardi di dollari, con un in- casso netto di 91,2 miliardi. Nello specifico, la tratta di schiavi muoverebbe 58,6 miliardi per 39,7 di profitti. Cifre analoghe (57,3 e 38,7) per la tratta a fini di pro­stituzione.
L’Organizzazione internazionale del lavoro dà le di­mensioni del fenomeno: sono un milione gli esseri u­mani trafficati ogni anno nel mondo, la metà dei qua­li in Europa. Dodici milioni e 300 mila le persone sot­toposte a sfruttamento lavorativo e sessuale, 800 mi­la dei quali al di fuori dei confini nazionali. L’80% del­le vittime, sostiene il Copasir, sono donne o ragazze, nel 50% dei casi minorenni.
Per l’Unicri «tutti gli stati ne sono toccati in quanto paesi d’origine, di transito oppure di destinazione del­la tratta». La tratta inoltre «gode di complicità negli apparati statali coinvolti nelle rotte tracciate dai traf­ficanti », spesso le stesse di droga e armi.
Per la prostituzione le vittime sono spesso ridotte in schiavitù con connotazioni differenti a seconda se il racket è albanese, nigeriano o rumeno che rastrella vittime anche in Bulgaria, Repubblica Moldova e U­craina. L’accattonaggio riguarda soprattutto rom, al­banesi e marocchini: minori abbandonati, venduti o affittati dalla famiglia rimasta in Patria a terzi che trat­tengono quasi tutto il guadagno. Ma non si può par­lare di riduzione in schiavitù quando il minore men­dica con la famiglia e non c’è violenza. Infine c’è lo sfruttamento del caporalato, spesso etnico, che im­plica sequestri, estorsioni, stupri, lesioni, fino alla ri­duzione in schiavitù. Il lavoratore spesso deve risarci­re il trafficante che ne ha organizzato l’espatrio, come in molti laboratori cinesi che sbaragliano la concor­renza grazie al basso costo della manodopera e al man­cato rispetto delle norme di sicurezza.