America Nera
da New York Elena Molinari



"  Il nostro momento è arrivato». Nel 1984, al suono di questo grido di battaglia il reverendo Jesse Jackson si candidò alla presidenza Usa – il secondo nero ad ambire alla Casa Bianca nella storia americana. Il suo richiamo ebbe echi profondi fra i neri del sud, che ricordavano i cortei sanguinosi per conquistare il diritto di voto. «Le mani che una volta coglievano il cotone ora sceglieranno il loro presidente», disse allora Jackson. Ma era chiaro che non ebbe mai nessuna chance di conquistare la nomination democratica.
  Più di vent’anni dopo, Barack Obama è in pole position per vincere il titolo di candidato ufficiale del partito progressista allo Studio ovale. Ma il suo grido di battaglia è diverso: «Siamo una popolazione sola. E il nostro momento per il cambiamento è giunto». Sfumature lessicali che rivelano quanta strada sia stata fatta dal 1965, quando i primi neri furono ammessi alle urne. Obama non nasconde la portata storica della sua candidatura. Ma chiaramente non vuole essere 'il candidato dei neri'. Sa bene che se lui, nero, vuole diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, l’uomo più potente del mondo, deve prima superare le ultime riserve dei bianchi per il colore della sua pelle e rassicurarli che sarà il presidente di tutti. E a quanto pare ci sta riuscendo.
  Il senatore dell’Illinois, i quaranta deputati e senatori (su 535) neri nel Congresso Usa, il segretario di Stato Condoleezza Rice e la ventina di amministratori delegati di aziende multinazionali (come l’American Express) oltre a vincitori di Oscar come Denzel Washington e Halle Berry sono il volto delle opportunità che gli afroamericani hanno oggi a loro disposizione: le stesse dei bianchi, almeno sulla carta.
  Le differenze razziali sono dunque scomparse in America? La cronaca, confermata dalle statistiche, racconta una storia più complessa.
  Mostra che un americano nero su quattro finisce in prigione prima di compiere trent’anni.
  Che ci sono più neri dietro le sbarre che nelle università.
  Che i neri disoccupati sono il doppio dei bianchi.
  E che la causa principale di morte per un adolescente nero in America non sono gli incidenti stradali ma i colpi di pistola.
  Le condizioni di vita degli afro­americani si fanno ancora più inquietanti nei quartieri popolari delle grandi città statunitensi – i ghetti neri, da Harlem ad alcune sacche di Washington e Baltimora – dove i giovani di colore hanno una speranza di vita più bassa che in Bangladesh.
  «È una specie di genocidio – spiega Robert Staples, docente di Sociologia all’Università della California a San Francisco –. Negli ultimi dieci anni gli uomini neri sono l’unico gruppo di americani ad aver perso due mesi di speranza di vita. Ogni altro gruppo, comprese le donne nere, ha guadagnato cinque o sei anni». E la deriva non tocca solo gli emarginati. Circa la metà dei figli delle famiglie nere della middle class, cresciuti in quartieri rispettabili e relativamente agiati, finiscono in povertà. Perché?
  È difficile capire dove inizia il ciclo vizioso fatto di cattiva istruzione, lavori poco qualificati e semi­povertà, quando non addirittura coinvolgimento in criminalità, in cui tanti ragazzi neri di trovano intrappolati. Di certo alla radice ci sono la segregazione e la
discriminazione che hanno tenuto generazioni di neri lontani dalle scuole e dai posti di lavoro migliori, e hanno inculcato in ogni bambino nero nato negli Usa il senso di valere meno di un bianco. Ma ci sono anche problemi relativamente recenti e che la comunità nera deve quasi esclusivamente a una cultura autodistruttiva che ha preso piede al suo interno. È la mentalità che sostiene che l’unica approvazione che conta è quella degli amici del quartiere, che per questo esalta una mascolinitl esagerata e ritualizzata.
  E che rifiuta come sminuente il ruolo di padre.
  oltissimi ragazzi neri, soprattutto nei ghetti, vivono in un mondo senza uomini – dice Ivin Poussaint, professore di Psicologia ad Harvard – e faticano a trovare un modo di essere uomini. Siamo al punto che molti giovani, che non esitano ad avere relazioni sessuali, non sanno che la società si aspetta che assumano la responsabilità dei loro figli». Il risultato è che, se nel 1965, quando la segregazione era all’ordine del giorno, un quarto delle famiglie americane nere avevano come capofamiglia una donna, oggi sono la metà, nei ghetti il novanta per cento.
  La mancanza di modelli maschili positivi fa imbestialire Bill Cosby, il comico di colore che ha fatto dello sradicamento dei comportamenti autodistruttivi dei giovani neri una missione di vita e la colonna portante del suo libro: Come On People: On the Path from Victims to Victors («Coraggio, gente. La strada da vittime a vincitori»). «Molti hanno fame di un padre – spiega – e col tempo diventa rabbia». Ma la soluzione, continua, non è biasimare i bianchi. Né chiudersi a riccio e atteggiarsi da duro per nascondere il proprio senso di fallimento. Cosby parla della posa ' cool' ('da giusto'), quella fatta di pantaloni con il cavallo alle ginocchia e magliette extralarge, di aria assente, camminata dondolante e complicati modi di dare la mano.
  Quella che comprende un gergo ostile alla grammatica inglese ma pieno di parolacce. Quella resa famosa dal rap, dove è legittimo fare riferimento a qualsiasi donna, compresa la propria ragazza, come a una prostituta, e dove mostrare i propri sentimenti è da femminucce.
  Nel 1965 il futuro senatore di New York, Patrick Moynihan, pubblicò un rapporto sulla comunità nera.
  Sosteneva che l’elevato tasso di nascite di bambini neri al di fuori del matrimonio, circa il ventiquattro per cento, indicava lo sgretolamento del tessuto sociale fra gli afro-americani. Moynihan fu accusato di bigottismo. Oggi i bambini neri nati da ragazze madri sono il settanta per cento (un dato che comprende tutte le classi sociali).
  A quarant’anni dall’assassinio di Martin Luther King allora forse i suoi eredi, oltre a festeggiare la possibile elezione di un presidente nero, devono avere il coraggio di lanciare un nuovo movimento per i diritti civili degli afro-americani. Un movimento che, mentre combatte la discriminazione razziale, sappia intraprendere una campagna fra i neri a sostegno del matrimonio, dello studio e della genitorialità. E sappia insegnare a molti uomini di colore ad essere padri