La Parola dell'Arcivescovo

17 settembre 2013

Memoria di San Roberto Bellarmino Inizio Anno Pastorale

Omelia

 

 

È molto dura la parola del Signore in questo brano di Matteo ora proclamato. Insieme ad altri pochi casi sembra confliggere con gli esempi illustrateci nelle parabole del Vangelo di domenica scorsa mentre presentano il Dio misericordioso che “fa festa per un solo peccatore che si converte”.

Sapete bene che il conflitto è solo apparente, anzi le affermazioni di Gesù che provocano lo stupore delle folle, disegnano la giusta prospettiva del rapporto che deve esserci con uno che insegna con autorità e non come gli scribi.

C’è infatti il rischio di illudersi di seguire il Maestro riconoscendolo come “il Signore” e quella che è invece la Sua reale sequela. Costruire sulla sabbia che siamo noi, o sulla roccia che è Lui.

Dice Gesù che nel giorno del discernimento finale molti gli diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo scacciato i demoni?” E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto prodigi?”.

È l’identità carismatica della Chiesa che esprime, nella profezia, l’ascolto e la ricaduta della Parola. Matteo ci riporta un commento assolutamente demolente, il Signore dirà: “Non vi ho mai conosciuto. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità”.

Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrate, fedeli laici, non so a voi ma a me queste parole non fanno solo riflettere. Mi inducono a coniugare – come penso voglia dirci Gesù – l’annuncio della Verità con una reale e necessaria interiore coscientizzazione; il donare agli altri il dono della Grazia, vissuto e quindi reso evidente in una esistenza trasparente e, di conseguenza, testimoniante.

“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette o non le mette in pratica”. Costruire sulla roccia vuol dire innanzitutto sperimentare una personale solidità della fede che poi può essere trasmessa nell’annuncio.

Il brano del libro della Sapienza proclamato nella prima lettura di questa celebrazione ci ha riportato il desiderio orante dell’autore sacro: “Mi conceda Dio di parlare con intelligenza e di riflettere in modo degno dei doni ricevuti”.

Come possiamo parlare con intelligenza? Come vivere con prudenza e sapienza? Come essere specchio dell’amore di Dio? Come annunciare il Vangelo?

La visione del mondo e della Chiesa che abbiamo noi è quella di Dio? Ne siamo veramente convinti? O il problema non ci tocca e semmai ci abbiamo pensato non sufficientemente o per niente?

A tal fine c’è una costante che ci viene insegnata e imposta da Gesù come necessaria: l’Unità. Non solo dire, ma essere una cosa sola come Lui e il Padre.

 

Bisogna tendere verso l’unità non solo “perché il mondo creda”, ma anche per lavorare meglio – insieme –  a costruire il Regno. La fede è sì una scelta personale, la chiamata di Dio è diretta alla singola persona e si risponde senza mediazioni, ma la fede la si può vivere ed esprimere veramente solo in Comunità. E questa Comunità è la Chiesa che Gesù ha fondato perché i suoi seguaci insieme sperimentino la fede in fraternità.

Ma come si fa a lavorare insieme se non c’è la disponibilità a mettersi in discussione? È necessario riconoscere le nostre carenze e non solo evidenziare quelle degli altri.

C’è una significativa e incisiva frase di S. Agostino che dà questo consiglio: “Cercate di acquistare le virtù che secondo voi mancano ai vostri fratelli, e così non vi accorgerete più dei loro difetti, non avendoli voi” (Enarrationes in Psalmos, 30, 2, 7 [PL 36, 243]).

Camminare insieme è più bello ma è più faticoso; a volte bisogna rallentare il passo quando il fratello o la sorella procedono più lentamente, oppure aumentare il ritmo per concordare con gli altri. Sostenere il più debole, talvolta portarlo sulle spalle.

È meglio fare da soli? Funziona di più? Non è detto, ma la domanda è un’altra: è questo che vuole il Signore?

Pensiamo agli apostoli: anch’essi erano distratti quando Gesù parlava specialmente di cose difficili da comprendere o fare, come portare la croce. Anch’essi cercavano il primo posto, anch’essi litigavano. Possiamo sperimentare anche noi queste povertà, debolezze, meschinità, ma come gli apostoli poi dobbiamo dare la vita.

 

Dare la risposta giusta a tutte le persone e a tutte le esigenze non è semplice né, forse, sempre possibile; tuttavia chiunque ha una qualsiasi responsabilità deve tentare di farlo con l’aiuto di Dio. Anche il vescovo – in certi casi soprattutto lui – sperimenta insieme, da un lato l’emergenza della necessità e dall’altro l’impossibilità a trovare l’adeguata soluzione.

Per questo vi sono gli organi collegiali di partecipazione. Essi servono perché sono tali, cioè luoghi del confronto e dell’analisi. La sintesi in parrocchia la deve fare il parroco e, in diocesi, il vescovo. Ma sia il parroco che il vescovo possono farla meglio con l’aiuto del consiglio di quanti sono chiamati a esprimere gli utili suggerimenti che non si evidenziano quando si desidera primeggiare e accentrare oppure quando si ricercano umani riconoscimenti, ma emergono come tali solo quando sono sostenuti dalla Grazia e consolidati dal retto giudizio che nasce da un animo onesto desideroso del bene e allenato, nella libertà dei figli di Dio, ad utilizzare il dono dell’intelligenza.

Quanti i problemi pastorali che si presentano ogni qualvolta tentiamo, anche solo in maniera approssimativa, un’analisi sull’annuncio (Evangelizzazione e Catechesi), la celebrazione (Liturgia), la testimonianza della Carità. Notiamo ad esempio sia a livello nazionale sia nelle Chiese locali che una catechesi permanente non è presente in modo significativo se non nei movimenti. Per la catechesi sacramentale si sperimentano difformità tra le parrocchie che sembrano trovare ostacolo a “parlare una sola lingua”. Emergono inoltre difficoltà anche per una unitaria preparazione al matrimonio sacramento, la cura delle famiglie in crisi, l’insegnamento della religione nelle scuole con tutta la delicata e complessa problematica difficile da affrontare, l’attenzione ai giovani e ai germi vocazionali, la presenza delle aggregazioni laicali con il loro specifico che talvolta sembra poter contrastare l’ordine del progetto parrocchiale, oppure disagi per recuperare al meglio l’originaria vocazione dei ministri straordinari della Comunione, la dignità della Liturgia, il ruolo significativo e non esclusivizzante delle scholae cantorum nell’assemblea, la formazione permanente dei laici.

Da non trascurare inoltre di inserire in questa nostra breve analisi la prospettiva di un cammino che – se non è stato ancora possibile realizzare – dovrà portare alla completa gratuità dell’offerta dei nostri servizi e il non legare mai l’amministrazione dei sacramenti ad una tariffa. Mi rendo conto che non sempre i fedeli comprendono le necessità della Chiesa, ma è necessario educarli. In questi giorni la Liturgia delle Ore offre alla nostra meditazione il Discorso sui pastori di S. Agostino: è una splendida, concreta e non aleatoria riflessione del grande vescovo di Ippona che presenta questioni ancora attuali nel nostro tempo.  L’elenco delle problematiche potrebbe continuare ma sono certo che ognuno di voi è in grado di sottolineare questo o quell’aspetto della vita diocesana che richiede attenzione e impegno da parte di tutti per migliorare la proposta dell’Annuncio della Fede, rendere più splendente e dignitosa la Liturgia, mettere al primo posto la Testimonianza dell’Amore.

La Chiesa italiana si è più volte interrogata sulla presenza testimoniante dei cristiani sul territorio del nostro Paese, e anche noi vogliamo farlo, anzi dobbiamo, perché sembrano avvertirsi non solo segnali di stanchezza o compiacente acquiescenza ma anche segni di disaffezione per iniziative, ruoli e responsabilità che pare non sempre vengono condivisi. Sarà necessario allora chiarificare e migliorare con l’ausilio di tutti, quanto è necessario chiarificare e migliorare naturalmente nella piena consapevolezza del nostro limite umano.

Non è trascurabile ad esempio l’evidente “distacco” da due delle molteplici significative presenze nella nostra Chiesa locale: L’Istituto Superiore di Scienze Religiose e il Centro Fernandez. Da tempo sono stati considerati punte di diamante dell’Arcidiocesi, oggi sembrano non essere apprezzati come una volta. Sarà necessaria una riflessione comune per rilanciare il nostro Istituto anche promuovendo, soprattutto da parte dei sacerdoti, l’invito alla frequenza dei corsi e, per quanto riguarda il Fernandez, l’impegno da parte dell’Arcidiocesi per una verifica sostanziale e profonda al fine di riportare, per quanto sarà possibile, il Centro di Castelvolturno alla sua originaria identità.

 

A nessuno sfugge l’emergenza che fa ricadere sugli anelli deboli, i veri poveri, i grossi problemi sociali dell’occupazione. Il Presidente della CEI nella sua Prolusione introduttiva all’Assemblea generale di maggio lo evidenziò con tratti molto decisi. Il Card. Bagnasco sottolineò che, in certi contesti è solo la Chiesa con i suoi centri pastorali, che riesce a sostenere in parte le più elementari esigenze degli ultimi. Ma sembra che non sia finita: come rispondiamo? Le nostre parrocchie sono attrezzate a dare non sono gli alimenti ma ad essere luoghi di ascolto e comunione? I bisogni veri o presunti che ci vengono presentati e che si presentano come emergenti sono i soli? O c’è un disagio e una povertà più profondi che richiedono attenzione, sensibilità, condivisione che presuppone un occupare più tempo perché emerga il desiderio di dignità dell’uomo e, per quanto possibile, si riesca a imboccare la strada per ridargliela?

Si notano diversi e positivi interventi dei parroci e di tanti volontari che si aprono con generosità all’accoglienza e al sostegno con molteplici e varie iniziative ma capita talvolta che si indirizzi subito, e senza discernimento, alla Caritas diocesana. Anche per questo è utile un coordinamento: dopo l’ascolto, l’approfondimento del problema, la ricerca di possibili soluzioni in loco e poi – quando necessario – l’invio motivato e accompagnato dalla Caritas parrocchiale a quella diocesana.

 

Purtroppo anche altri seri problemi sono presenti dentro il nostro territorio; pensiamo anche solo alla ricaduta sulla occupazione provocata dalla chiusura di molte aziende per la reale o solo immaginata presenza di rifiuti tossici. È necessario bonificare, si dice, ma bisogna farlo sul serio e pare che siamo in notevole ritardo.

C’è però un inquinamento che non si tocca, una diossina immateriale per la quale è ugualmente necessario intervenire. Quanto male fa la disistima, le parole vuote e inconsistenti o peggio velenose e calunniose. Bonificare il terreno delle coscienze, eliminare il veleno è compito di ogni uomo di buona volontà ma soprattutto dei credenti che riconoscono nel creato il regalo di Dio e nell’uomo la Sua immagine. Paolo nella prima lettera a Timoteo domenica scorsa ci ricordava che bisogna riconoscersi peccatori. “Mi è stata usata misericordia” dice l’Apostolo - “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tm 1, 15). Se ne saremo convinti anche noi, scopriremo che le cose possono andare meglio, le relazioni possono purificarsi, le ragioni degli altri vengono scoperte al di là delle impressioni e del pregiudizio, per l’elaborazione di una critica vera che raggiunga l’obiettivo essenziale e aiuti a correggere prima noi stessi e poi educare, migliorare e trasformare chi ci è vicino.

 

Celebriamo oggi la solennità del nostro Patrono. San Roberto Bellarmino ebbe un ruolo rilevante per superare e risolvere le controversie nate dalla Riforma protestante ed applicare correttamente le deliberazioni del Concilio di Trento. Epoca di profondi cambiamenti la sua, ma epoca di cambiamenti anche la nostra nella quale tentiamo ancora di respirare il profumo del Concilio Vaticano II e lasciarci trasportare dal vento del suo Spirito.

Questa mattina all’Ufficio delle letture abbiamo letto l’affettuosa lettera che il nostro Santo scrisse ai suoi fedeli capuani quando dovette lasciare la sua Arcidiocesi per recarsi a Roma su invito del Papa Paolo V. Ma nel Breviario Romano – non il nostro “proprio diocesano” – alla festa odierna il brano proposto è un altro; è preso dal trattato “Elevazione della mente a Dio” di San Roberto.

“Se hai saggezza – scrive il Bellarmino – comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo è il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Se raggiungerai questo fine sarai beato, se ti allontanerai da esso sarai infelice”.

 

Fratelli carissimi, siamo chiamati alla felicità e la raggiungeremo se Dio sarà il tesoro del nostro cuore, se la nostra anima sarà tempio della Trinità, se comprenderemo che non c’è altra pienezza di beatitudine che la comunione con l’Eterno e Onnipotente Signore.

Pastori e fedeli mettiamoci in ascolto di Colui che parla con autorità, costruiamo la nostra vita sulla roccia che è Cristo Gesù, nostro unico Maestro e Signore. Amen.