Da MIGRANTI PRESS bollettino di informazione della Fondazione Migrantes della CEI

 

“lettera di un immigrato a un missionario”

 

verona (Migranti-press) - Trascriviamo da Nigrizia (aprile 2007) parte della lettera che un immigrato immagina di scrivere a un missionario conosciuto nel suo villaggio in Africa e ora rientrato in Italia.

 

“Ti scrivo questa lettera per chiederti di renderti presente sulla mia strada di forestiero. Vengo dall’Africa, dall’Asia, dall’America del Sud, dall’Oceania, dove hai lavorato come missionario e dove mi hai conosciuto. Qualche anno fa, non avrei pensato che un giorno mi sarei trovato qui da te, nel tuo paese. I tragici eventi, l’impoverimento di cui io e i miei fratelli siamo vittime e tanti altri fattori mi hanno spinto a sfidare il mare e tanti pericoli per venire qui.

Ti sto cercando per due motivi. Innanzitutto, perché la mia memoria è piena di ricordi di te. Là, nel mio paese, tu contavi molto per me, e io contavo per te. Conoscevi il mio nome. Grazie alle scuole che hai creato nella missione e nei villaggi, ho imparato a scrivere, a leggere, a riconoscere alcuni diritti… Presso il centro di promozione sociale gestito dalle suore, mia mamma, le mie sorelle, le mie zie e altre donne (privilegiate di poter vivere nei pressi della missione) hanno imparato a leggere e a cucire, ricevuto importanti nozioni sui valori nutritivi dei cibi, sull’igiene, ecc..

In secondo luogo, ti sto cercando perché, attraverso gli insegnamenti offerti alle piccole comunità ecclesiali di base, hai aiutato i miei concittadini a rendersi conto che il Vangelo è il lievito che libera l’uomo in tutte le sue dimensioni – “Tutto l’uomo”. Partendo da questa convinzione, alcuni miei familiari e amici hanno iniziato a interessarsi allo sviluppo, a fare da soli i mattoni d’argilla, a costruirsi case un po’ più dignitose; li ho visti cominciare a rivendicare i loro diritti, a costituirsi in associazione….

Ti ringrazio tanto per quanto hai fatto nel mio paese. Però, ora….

 

Sento il grande desiderio di ritrovarti sulla mia strada di immigrato qui, nel tuo paese. Sono certo che la gente e i tuoi concittadini capirebbero che, dietro la mia etichetta di mendicante, di prostituta, di poveretto a cui si buttano dieci centesimi senza guardarlo in faccia, o di spacciatore… c’è una dignità umana, con tanti valori inibiti dalle sofferenze, dalle frustrazioni, dalle precarietà della vita o dalla disperazione davanti al mancato paradiso che, venendo qui, speravo di trovare.

Tu puoi spiegare loro che, laggiù, non avevo tante opportunità, ma avevo la mia dignità. Conosci la mia gioia di vivere, la mia danza alla sera, al ritmo del tamburo che radunava tutto il villaggio per le feste al chiaro di luna, la condivisione quando venivi al villaggio….

 

Da come me ne parlavi, ero convinto che la fede fosse vissuta meglio nella tua patria: la fratellanza, la solidarietà, l’accoglienza, il dialogo, il perdono, il rispetto dei valori morali, l’unità della famiglia… Ma ora, a volte, sono deluso e disorientato da alcune situazioni. Alcuni qui mi dicono che Dio non esiste e che credere in Dio è proprio delle persone deboli, povere e meno libere. Alcuni miei fratelli - anche loro disorientati - sono tentati di cercare la sicurezza nelle credenze tradizionali. Nelle difficoltà, indossano amuleti o consultano i cartomanti. Fino ad ora ho resistito. Ma fino a quando ci riuscirò? Tu puoi aiutarci a riprendere il nostro cammino di fede in queste nuove condizioni di vita. Ho bisogno di te per custodire la mia fede di cristiano.

Avrei tante altre cose da dirti, ma è meglio che c’incontriamo a quattr’occhi.

Vorrei solo aggiungere una cosa, che conosci già meglio di me: i tempi sono cambiati e, con essi, è cambiata la realtà missionaria. Con il flusso migratorio, che solo un po’ più di giustizia a livello internazionale può fermare, le Chiese “madri” (tra cui quella italiana) sono diventate anch’esse “terra di missione”. E poiché un servitore di Dio non va mai in pensione, hai anche tu qualcosa da fare qui, a casa… Come facevi nel mio paese, esci, vieni a trovarci nelle nostre “capanne” accanto ai palazzi e ai grattacieli. Come facevi laggiù, aprici la porta. Così, ci sentiremo a casa.