Di emigrazione si muore.

Riflessione promossa dalle associazioni

Il 18 dicembre per riflettere e ricordare: è questo il senso dell'incontro che si è svolto  presso la sala della Pace della provincia di Roma, promosso da un gruppo di associazioni e organizzazioni in occasione della Giornata internazionale per i migranti. Un momento di memoria, soprattutto, per non dimenticare le vittime delle migrazioni: i migranti che ogni anno a centinaia muoiono in mare, nel tentativo di raggiungere l'Europa; i lavoratori stranieri, principali  vittime di incidenti sul lavoro; ma anche i 950 minatori (di cui oltre 400 emigrati italiani) che 100 anni fa, il 6 dicembre 1907, morirono nella tragedia mineraria di Monongah, nel West Virginia. A promuovere questo momento di riflessione sono state numerose associazioni: dalla Caritas italiana ai sindacati, dal Centro Astalli all'Oim, dal Centro culturale islamico della Moschea di Roma all'Unhcr e altre ancora. “Un momento non politico, non formale”, come lo ha definito Ugo Melchionda, funzionario dell'Oim e redattore del Dossier statistico sull'immigrazione Caritas/Migrantes, introducendo le brevi testimonianze che hanno dato vita all'incontro. Alla questione cruciale del lavoro ha fatto riferimento Gloria Malaspina, assessore al lavoro della provincia di Roma: “So quanto sia complesso l'inserimento lavorativo degli immigrati: perdere il lavoro significa per tutti loro entrare in una zona grigia semiclandestina, che rimette in discussione la loro possibilità di costruirsi un futuro. E proprio gli immigrati sono le prime vittime degli incidenti sul lavoro”. “L'indefinitezza sigla la vita di noi migranti – ha testimoniato Saba Anglana, musicista somala da anni residente in Italia – Con la musica provo a ribaltare la condizione traumatica dell'abbandono, facendo diventare questo punto debole un punto di forza”.“Di emigrazione si muore – ha ricordato padre Graziano Battistella, missionario scalabriniano, leggendo un suo brano dedicato ai migranti – Si muore prima, attraverso il deserto, e si muore poi, nei cantieri e negli ospedali. Si muore anche quando si vive, perché non ogni vita è vita. Si muore anche al ritorno, quando si incontra la delusione in una famiglia che non ti riconosce e in una terra che non riconosci. Il rispetto della morte dei migranti è rispetto della nostra vita. I migranti ci insegnano a sperare: non uccidiamo con loro la speranza”. “Siamo di fronte a una grande emergenza umanitaria”, ha affermato Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr, riferendosi ai tanti migranti che continuano a morire nel Mediterraneo. “Tanti italiani si sono abituati a queste morti, l'estate ci ha regalato gli 'uomini tonno'. Noi dobbiamo a tutte queste persone rispetto per il loro sacrificio”. E alla migrazione italiana del secolo scorso ha fatto riferimento Rodolfo Ricci, segretario generale della Fiei (Federazione italiana emigrazione immigrazione): “Non molto tempo fa 28 milioni di italiani lasciarono il loro paese e oggi circa la metà di questi si trova ancora all'estero. Pochi sanno che il numero degli emigrati italiani è ancora oggi superiore rispetto al numero degli immigrati in Italia”. Un invito ad “allargare lo sguardo oltre l'Italia” è stato rivolto da padre Bruno Mioli, direttore della Migrantes. “Non si può pensare alle vittime del Mediterraneo senza pensare a cosa sta al di là del Mediterraneo – ha detto – Il contrasto all'immigrazione clandestina è un'espressione velenosa, se resta solo contrasto”.“Il 18 dicembre 2008 saremo ancora qui, a commemorare altri morti”, secondo Christopher Hein, direttore del Cir. “Il budget della Commissione europea per Frontex è infatti aumentato e proprio dalla chiusura delle frontiere deriva il gran numero di morti. Negli anni '80 non era così, sebbene le guerre e la povertà ci fossero anche allora. Ma a quel tempo esisteva la possibilità di arrivare in Europa regolarmente”.“La politica non riesce ad affrontare il tema della povertà e finisce per punire i poveri – ha denunciato Pietro Soldini della Cgil – non riesce ad affrontare il tema della clandestinità e finisce per punire i clandestini”. Il dramma dell'emigrazione bosniaca è stato ricordato da Enisa Bukovic, rappresentante dell'Associazione bosniaci di Roma. “200.000 persone sono state uccise in Bosnia tra il 1992 e il 1995. A causa della guerra, un terzo della popolazione bosniaca vive all'estero, in più di 150 paesi. Eppure per secoli in Bosnia le differenze hanno convissuto, il 49% dei matrimoni era di carattere misto. La soluzione, a mio avviso, si trova oggi nelle donne, che devono portare amore e solidarietà e promuovere un'educazione diversa”