L’ITALIA NEL 2061

EDITORIALE DI KAIROS DEL 14-05-2011

Nel corso di un evento organizzato al Quirinale per i 150 anni dell’Unità d’Italia, uno studente collegato via web, ha chiesto al presidente: “come sarà l’Italia nel 2061?” . Il Presidente, che non è un indovino, ha risposto: "Difficile immaginare come sarà l'Italia tra 50 anni". Tuttavia per non eludere la provocazione dello studente ha poi rivolto a tutti i ragazzi un appello a "darsi da fare fin da ora affinché sia bella, serena e meno divisa. Un'Italia che sia rispettata in campo internazionale per quello che sa dare, per il suo contributo, e per l'immagine che può  dare di sè sul piano culturale, civile e morale" Ed ancora: "Guai se non vi interessate del vostro paese, delle sorti dell'Italia e del popolo come fecero i giovani del Risorgimento. Fatevi guidare da grandi ideali e valori che sono fondamentali per il futuro della nostra Italia".  Ci vuole molto poco a capire che se il Presidente si augura tutto questo per il 2061 vuol dire che al momento attuale siamo lontani 50 anni da questo obiettivo. D’altra parte negli ultimi tempi Napolitano si sta ritagliando uno spazio di autonomia e autorevolezza proprio prendendo le distanze dalla competizione politica ed ergendosi a censore del malcostume dilagante.  Nella stessa occasione, infatti, ha ribadito un concetto che ripete da tempo: "La lotta politica non deve essere una guerra continua. Ci deve essere rispetto reciproco tra le parti che competono per conquistare la maggioranza nelle elezioni". Sono parole di semplice buon senso eppure sembrano additare una meta lontana e faticosa per il nostro paese che non riesce ad uscire dalla logica antica degli schieramenti partitici.  E’ una realtà che si respira soprattutto a livello di competizione nazionale. Molto diversa e variegata si presenta, invece, la situazione nelle realtà locali. Molte comunità cittadine, infatti, sembrano talvolta più avanti rispetto ai comportamenti che si vedono nelle competizioni nazionali. Tanto è vero che in molto grandi Comuni la campagna elettorale si è imbarbarita per essersi trasformata in un test per la tenuta del governo nazionale.  I cittadini che vivono su un territorio, invece, vedono molto meglio le persone ed i problemi nel loro aspetto reale senza lasciarsi ingannare da schematismi o promesse illusorie. Per questo motivo io credo e spero che la rivoluzione auspicata da Napolitano possa partire dal basso, dalle piccole comunità locali dove si può verificare più facilmente la ricaduta di certe scelte o posizioni. Esse sono gli unici autentici “laboratori della politica”, la più alta forma di impegno sociale che non a caso prende il nome dalla “polis”.  Qui si possono sperimentare nuove forme di aggregazione e di scelte che si devono misurare solo con i risultati attesi ed il benessere della popolazione. Le grandi democrazie moderne traggono la loro forza da questo sano pragmatismo. Se, invece, trasformiamo anche le nostre piccole città in arene  sanguinose dove non vincono le idee e le proposte, ma solo la forza e lo scontro, non riusciremo a rendere questo paese migliore nemmeno entro il 2061. Ci auguriamo, perciò, che chiunque esce vincitore o sconfitto dalla contesa elettorale di questi giorni contribuisca a rendere più sereno il confronto e sappia trovare larghe intese e collaborazioni per il futuro. Dopo le elezioni, infatti, avremo tutti un solo traguardo: incominciare dalle nostre città per migliorare tutta l’Italia.