“ITALIA  AU MAUT”

 

“Italia o morte”! Questo è il motto che fino a ieri urlavano i ragazzi tunisini. Disperati per la mancanza di prospettive e di lavoro, in un paese che cresceva al ritmo del 5% annuo a livello di Pil, ma che non riusciva a redistribuire questa ricchezza in massima parte dovuta ai massicci investimenti provenienti dal Dubai e dagli Emirati Arabi Uniti. Soldi che erano attirati dal particolare favore fiscale accordato agli arabi ricchi dal “regime” di Ben Alì, il padrone della Tunisia, oggi costretto a scappare. Forse non tutti sanno cha Ben Alì era andato al potere nel 1989 rovesciando il governo di Bourghiba con un golpe bianco sostenuto dai servizi segreti italiani e americani. Un appoggio occidentale giustificato col fatto che  Bourghiba era vecchio e malato e  si temeva che gli estremisti islamici potessero prendere il potere. A detta degli esperti questo pericolo non dovrebbe ripresentarsi oggi nonostante la convulsa protesta di massa ed l’incertezza sul futuro che resta ancora in mano ai militari in mancanza di un governo di transizione. Certo è che se il pericolo islamista non è così allarmante, in un mondo che brucia da ogni parte sotto il fuoco degli attentati integralisti, lo si deve anche al particolare regime “laico” che da Bourghiba a Ben Alì è durato per oltre 40 anni. Il governo tunisino, infatti, pur non potendo definirsi democratico secondo uno standard europeo e occidentale, e pur avendo violato i diritti umani soprattutto nei confronti di alcuni terroristi islamici ed estremisti dei Fratelli Mussulmani, era sicuramente il più libero di tutto il Nord Africa, a pari merito solo con quello marocchino. Non si può dimenticare che il predecessore di Ben Alì chiuse  l’ Università religiosa collocata dentro la storica moschea Zaituna (dell’olivo,ndr) permettendo solo l’insegnamento coranico all’interno di quello storico universitario. Bourghiba fu anche l’uomo che ruppe per primo nel mondo arabo il tabù del mese di Ramadan bevendo davanti a fotografi e televisioni un “asir burtugal” (succo d’arancio) e pronunciando la famosa frase secondo cui “durante il ramadan si deve continuare a vivere, produrre e lavorare”. Sembra assurdo, ma oggi un’affermazione del genere farebbe tremare il mondo. Il Papa, per molto meno, a Ratisbona, ha dovuto quasi chiedere scusa. Non è un caso, dunque, che il livello di istruzione in Tunisia sia molto elevato e che la rivolta sia scoppiata proprio per  l'atto disperato di un giovane laureato, Mohamed Bouazizi,  costretto a fare il venditore ambulante di frutta al quale la polizia aveva sequestrato tutto perchè...senza licenza. Il suo gesto ha agito come un detonatore, rivelando alla nazione il carattere tragico della crescente disoccupazione degli strati della gioventù, 200.000, che possiede un'istruzione superiore. Ovviamente le aspettative dei giovani istruiti sono più forti, poiché sopportano assai meno il soffocante controllo poliziesco del regime. Grazie alla “rivoluzione dei laureati” forse questi giovani potranno guardare con speranza alle loro stesse istituzioni, senza sognare il paradiso italiano conosciuto attraverso la lente delle televisioni Rai e Mediaset nonché tramite i racconti dei pochi fortunati che sono potuti emigrare da noi ed ai quali non sempre abbiamo saputo dare una immagine adeguata del nostro paese. E’ un momento delicatissimo che se L’Europa e L’italia sapranno sostenere potrà contagiare positivamente tutto il Magreb contribuendo ad allentare la spinta migratoria molto più dei fantomatici e brutali respingimenti.   In caso diverso non è da escludere che possa farsi avanti l’integralismo islamico che ha sempre tenuto in odio allo stesso modo l’Occidente libero e le dittature “laiche”. Per questo motivo dobbiamo far nostro questo un nuovo “sogno tunisino” che si legge negli occhi di tanti ragazzi immigrati che vivono tra noi e che sembrano aver riscoperto d’un tratto tutta la loro dignità ed il loro orgoglio. Da oggi  Il loro grido non sarà più: “Italia o morte”, ma quello più universale del nostro Risorgimento e dei nostri partigiani: “Libertà o morte”.