AVVENIRE DEL 23-02-2009

DAL NOSTRO INVIATO A LAMPEDUSA
CLAUDIO MONICI
E se adesso il mare ne porterà altri mille? Non allarga le braccia Cono Galipò, amministratore delegato di “Lampedusa accoglienza”, la cooperativa che gestisce i servizi nel “Centro di identificazione e espulsione” (Cie), ma gli scappa un sorriso: «Eh! Una bella domanda. La preoccupazione c’è. Non possiamo dire che siamo pieni e non c’è posto, come si fa per un albergo.
Dobbiamo solo darci da fare per accoglierli. Vanno soccorsi. Punto». Dopo la rivolta, gli scontri e il devastante incendio che ha gravemente azzoppato il “Cie” di Lampedusa , se da un punto di vista gestionale «la situazione sta tornando nella normalità», lo è per quanto possibile, visto che comunque al suo interno rimane un rudere pericolante che va «messo in sicurezza e abbattuto» al più presto sostituito da un nuovo edificio con la stessa capienza andata in cenere.
«Di ospiti ne sono rimasti 555, tutti tunisini. Tutti adulti. Per fortuna la mensa e gli uffici amministrativi non hanno subìto danni e possono lavorare. Ad andare distrutto è stato il blocco centrale e con lui 330 posti letto – racconta Galipò –.
Ma ci tengo a dire che parliamo sempre di una normalità in una condizione di estremo disagio: è dall’aprile del 2008 che non scendiamo al di sotto delle mille presenze».
Quella che era una vecchia caserma dell’aeronautica, completamente ristrutturata per contenere gli irregolari che solcano il Canale di Sicilia, fino all’altro giorno aveva una disponibilità massima di 804 posti letto, più altre 46 brande messe in infermeria, anche se in caso di emergenza si poteva attivare un piano per dare posto a 1200 individui in alcuni saloni adibiti ad altre attività: «Certo, materassi per terra, ma comunque tutti al coperto e tutti all’asciutto», precisa il messinese Galipò. Ammettendo anche che quando si supera quota mille «diventa difficile assicurare uno standard costante di qualità».
Ma qualcosa è cambiato, qualcosa si è modificato in questo ultimo mese, cioè da quando quello che era un “Centro di accoglienza” è stato trasformato in un “Centro di espulsione” ed è il rapporto di tensione che si è visto aumentare tra le persone trattenute e che è poi sfociato nella rivolta di mercoledì 18 febbraio.
«Nelle ultime settimane la tensione andava crescendo, abbiamo notato delle situazioni limite che ci hanno messo in campana e che potevano prestarsi a una qualsiasi scusa per creare il caos – racconta Galipò –. Noi ci siamo limitati a fare il nostro lavoro a volte chiudendo anche un occhio. Ad esempio quando qualcuno ripassava in mensa anche per la terza volta consecutiva. Non voglio sconfinare in cose che non mi competono, in scelte che non sono mie, ma noi lo avevamo detto come la situazione si stesse modificando. Gli elementi per capirlo erano evidenti».
“La cooperativa Lampedusa accoglienza”, impiega un centinaio di dipendenti e attraverso la Prefettura di Agrigento, percepisce 33,45 euro al giorno per immigrato, a cui deve essere fornito tutto: dal vestiario agli oggetti di uso personale, al di là dei pasti.
Galipò fa qualche esempio di come questa situazione poi va a muovere l’economia locale: «A Lampedusa acquistiamo 40 mila euro di sigarette al mese, e così via come per la fornitura del pane fresco. A parte le figure professionali che vengono da fuori, settanta famiglie lampedusane hanno la garanzia di uno stipendio. Io credo che gli isolani hanno ragione a non volere questa situazione di pesantezza (il Centro, ndr).
Ma se in una situazione di tranquillità e normalità non ci fosse, sono sicuro che farebbero lo sciopero. Non voglio dire che i lampedusani hanno torto, dico che a volte esagerano a contestare tutto e tutti.
Guardi, ricordo di due turisti milanesi che al termine della loro vacanza qui, mi chiesero di poter visitare il Centro perché di clandestini sull’isola non ne avevano vista neanche l’ombra».
Certo che oggi, dopo la fuga di massa e poi il grande incendio, l’immagine dell’isola, forse, si è ulteriormente modificata in negativo, e sempre con l’assioma: Lampedusa uguale clandestini cattivi?
«Ogni caso è una storia. Tra le 555 presenze c’ è un professore universitario di Tunisi che, poveretto, non avendo i soldi per partecipare a un master nel suo Paese, aveva pensato di venire a lavorare in Italia per sei mesi e così potersi pagare l’aggiornamento – racconta Galipò –.
Lavoriamo a contatto di situazioni drammatiche inimmaginabili: persone che sono in cerca del loro riscatto».
Ma c’è qualcosa di specifico che, secondo Galipò, manca nella questione lampedusana: «Stampa e tv, pur di dare una notizia, spesso, la danno sbagliata.
Lampedusa viene vista come isola di immigrati, ma non è così. C’è anche un fatto da dire: questa gente è abituata a gettare tutto per terra. Immaginiamo 1000 persone che dopo avere finito di mangiare lasciano piatti di plastica dove meglio credono o buttano tutto. Se in quel momento passa una telecamera registra una cosa – sostiene Galipò –. Ma se la stessa telecamera passerà un’ora dopo, quando il personale delle pulizie avrà messo in ordine si sarà data una immagine e una notizia più completa della realtà».
Galipò, della cooperativa che gestisce i servizi del Cie: «Di ospiti ne sono rimasti 555. Tutti adulti. Ma non dite che è un’isola di irregolari» «Qualcosa è cambiato nell’ultimo mese, da quando quello che era un centro di accoglienza è diventato un centro di espulsione»