Italia e Stati Uniti

Relazioni vere e sincere

Andrea Riccardi

C'è una ritualità. E c'è una novità. La ritualità nella visita del presidente degli Stati Uniti sta nelle manifestazioni di protesta che accompagnano l'arrivo del leader più influente della Terra e ogni appuntamento importante in un mondo globalizzato e dal difficile governo. La novità è il primo incontro del presidente Bush con Benedetto XVI, dopo aver partecipato ai funerali di Giovanni Paolo II. Oltre naturalmente all'incontro con il governo italiano.
È un alleato storico dell'Italia che arriva per la terza volta in un Paese dove buona parte del sentimento comune ha avvertito l'intervento in Iraq come un errore, il dramma israelo-palestinese come un'eterna mancata pace, il Libano come luogo principale di una democrazia mediorientale. Per gli italiani però, gli Stati Uniti e gli stessi americani non rappresentano un Paese "estero", sono parenti. Non è solo questione di emigrazione nostra laggiù, ma di oltre mezzo secolo di storia condivisa. Per questo ci si appassiona, si litiga, ci si contrappone, si va d'accordo. C'è un tessuto comune. Talvolta si dubita in Italia o in Europa sul reale interesse degli Stati Uniti verso i Paesi europei. La stampa americana si chiede dove va e con chi va l'Europa, sempre più piccola in un mondo di tanti giganti, specialmente asiatici.
Al di là delle amministrazioni però c'è un sentire comune sulla democrazia quale via per dare speranza a larghe masse, sulla libertà come base per lo sviluppo della persona umana e il rispetto delle culture e dei corpi intermedi, dalla famiglia alle libere associazioni, alla libertà religiosa. Comuni sono i problemi: il mercato come luogo di formazione autoregolata del benessere per tanti (che non si trasformi in Leviatano), una globalizzazione che favorisce la libera circolazione dei beni ma non delle persone. Che tutti si possa vivere in modo sicuro e che violenza e terrorismo non siano una compagnia abituale del XXI secolo. Che larghe sacche del mondo senza diritti e beni, senza acqua e cure, non siano luoghi di disperazione incontrollabile e facilmente reclutabile dai signori del terrore, oltre che enormi "terre di nessuno" dove la vita umana vale nulla.
È per questo che il presidente che più rappresenta la scelta della forza è benvenuto in Italia, un Paese che cerca, quasi istintivamente, vie alternative alla guerra. Bush rappresenta la più forte democrazia del mondo, un interlocutore vitale non solo per l'Occidente, ma per chi vuole un mondo migliore. Si avverte lo squilibrio: un'Unione allargata e incerta nelle scelte di politica estera e di sicurezza di fronte alle decisioni Usa. Restano differenze, in parte emerse all'ultimo G8, con il grande alleato americano, che appare tuttavia più coinvolto di tanti europei sul terreno dei valori e della difesa della dignità della vita. Molto si potrebbe dire di Stati Uniti e Europa, tra prossimità e differenze, ma è chiaro che chi vuole un mondo migliore deve parlare - oggi forse più di ieri - con il governo americano e con il mondo statunitense.
Appare significativo, sorprendente e per questo interessante, anche il non rituale incontro con la Comunità di Sant'Egidio, voluto dal presidente Bush, e che si colloca su un piano diverso dagli incontri istituzionali. Un laboratorio operativo per soluzioni pratiche ed efficaci di lotta alla povertà e di speranza - fattiva - per l'Africa. Anche questo parla della capacità della Chiesa cattolica di essere universale, come giacimento di umanità e umanizzazione, capace di muoversi non tanto sul terreno dell'ideologia o della forza ma della fedeltà evangelica, partendo anche dal piccolo.