Sbarchi dalla Libia, 90 per cento in meno
Ma l’Acnur ribadisce: «Rifugiati tra i respinti»
 

AVVENIRE DEL 16 APRILE 2010
DA R OMA L UCA L IVERANI
L’ accordo tra Italia e Li­bia «sta funzionan­do ». A un anno dai di­scussi respingimenti sulle co­ste libiche di alcune 'carrette del mare', alla direzione della Polizia di Frontiera del mini­stero dell’Interno assicurano che il flusso è agli sgoccioli: gli arrivi via mare sono crollati dai 34mila del 2008 ai circa 3mila dell’anno scorso. E il ministro dell’Interno Roberto Maroni, in audizione al Comitato Schengen, fornisce gli ultimi aggiornamenti: 170 clandesti­ni nei primi tre mesi del 2010, contro i 4.573 dello stesso pe­riodo del 2009, comprensivo delle partenze da altri Paesi co­me la Tunisia. Così, mentre ie­ri Tripoli puntualizzava che «in Libia non ci sono rifugiati ma clandestini», l’Alto commissa­riato Onu per i rifugiati ribadi­sce tutte le sue preoccupazio­ni: «In Africa ci sono 10 milio­ni e mezzo tra sfollati, rifugiati e rimpatriati. E la Libia, che non ha mai sottoscritto la Con­venzione di Ginevra sui rifu­giati, rischia di trasformarsi in un cul de sac per troppi dispe­rati
». «L’accordo con la Libia sta fun­zionando », ripete il prefetto Rodolfo Ronconi, direttore del­la Polizia di frontiera. «Parlo co­me tecnico – precisa il prefet­to – e registro che in Italia dal­le coste libiche nel 2008 erano arrivati circa 34mila clandesti­ni, che nel 2009 si sono ridotti a poco più di 3mila, con un ca­lo di più del 90%». Contempo­raneamente sul terreno «la po­lizia libica sta colpendo le or­ganizzazioni criminali: la set­timana scorsa è stato fermato un gruppo in partenza e sono stati arrestati 7 trafficanti, 4 li­bici e 3 somali». Restano però ancora, come de­nuncia Alto commissariato O­nu per i rifugiati, molti dubbi sul rispetto dei diritti umani dei migranti in Libia. Preoccupa­zione a cui aveva dato voce il segretario del Pontificio consi­glio per i Migranti, l’arcivesco­vo Agostino Marchetto, che ve­nerdì scorso aveva detto che «nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio peri­colo che la persona sarà con­dannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di trattamento degradante o di­sumano ». Parole che solo ieri hanno provocato la reazione del ministero degli esteri di Tri­poli che in una nota ha preci­sato che «in Libia non ci sono rifugiati ma immigrati clande­stini e illegali, tenuti in centri di accoglienza per un periodo de­terminato, in attesa che gli ac­cordi di provenienza li rimpa­trino ». Non la pensa così Laura Bol­drini, portavoce italiano del­l’Alto commissariato Onu per i rifugiati: «Come Unchr siamo presenti in Libia, ma non ab­biamo un riconoscimento for­male delle autorità locali. Co­sa che ha ricadute pesanti sul­l’assolvimento del nostro man­dato. Non abbiamo accesso a tutti i centri di detenzione do­ve sono i rifugiati. Anche solo per avere il visto di ingresso nel Paese i nostri operatori devono affrontare lunghe attese. I ri­chiedenti asilo ci sono e sono molti: non hanno accesso a for­me di protezione, affrontano lunghe detenzioni, se sono li­beri non hanno alcun sostegno all’integrazione».
Il problema di fondo, dice Bol­drini, «è che le autorità non ri­conoscono l’esistenza del pro­blema, manca un quadro legi­slativo nazionale e non viene riconosciuta la Convenzione di Ginevra. È questo l’aspetto preoccupante, che vanifica la nostra disponibilità a collabo­rare col governo libico». Allora in Libia i rifugiati ci sono? «Lo dicono i fatti. Nel 2008 il 75% dei richiedenti asilo erano ar­rivati via mare. E l’Italia ha ri­conosciuto al 50% dei richie­denti una forma di protezione. O s’è sbagliata, oppure tra chi arriva dalla Libia ci sono molti uomini e donne in fuga da guerre o regimi».
Ma il direttore della Polizia di frontiera difende la scelta del governo: «Quei rinvii – dice Ronconi – sono stati un forte deterrente: l’immigrato che vuole entrare illegalmente in I­talia deve trovare più conve­niente entrare regolarmente. Sono stati rinvii eseguiti a nor­ma del protocollo aggiuntivo della Convenzione di Palermo del 2000 sulla lotta alla crimi­nalità. L’unità italiana, se in­tercetta una nave sospetta pri­va di bandiera, informa la di­rezione centrale che accertata la provenienza interpella il paese dell’imbarcazione. Se ar­riva l’ok, li rinviamo. Nessun Paese si riprende una nave se non è certa che sia partita dal­le sue coste. Se c’è un cittadino di un altro Paese, ce lo riman­da ». Ronconi nega che sulle carret­te ci siano potenziali rifugiati: «Il nostro personale sulle navi è pronto a raccogliere queste richieste. Se ci fossero. Chi è tornato in Libia, ha raccontato alle ong che era un tentativo di emigrazione economica». La mancata sottoscrizione da par­te della Libia della Convenzio­ne di Ginevra sui rifugiati se­condo il prefetto non crea ri­schi per i migranti perché la Li­bia presiede l’Unione africana che ha una Convenzione sui ri­fugiati. «E poi presiede la Com­missione Onu per i diritti u­mani ». Un’elezione a maggio­ranza - 33 sì, 3 no e 17 astenu­ti - che nel 2003 sollevò molte polemiche.
 


In Sicilia Barconi alla deriva: è ancora emergenza

 DA SIRACUSA
LAURA MALANDRINO
D uecento persone in­tercettate in Sicilia da­gli uomini della Guar­dia di Finanza da gennaio a marzo 2010 contro le 960 nel­lo stesso periodo dell’anno precedente. È quanto emer­ge dai dati forniti dal coman­do aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, che di­mostrano come il flusso di sbarchi in Sicilia in questi pri­mi mesi del 2010 sia rallenta­to rispetto al 2009. Come spe­cificano dal Comando cen­trale della Capitaneria di Por­to di Roma le persone assisti­te e soccorse in mare da gen- naio a marzo 2010 sono 60 e 28 risultano bloccate sulla terraferma, mentre 7.670 so­no state quelle assistite e soc­corse nel 2009, di cui 443 nel Cagliaritano e il restante nel Canale di Sicilia. Un ridi­mensionamento del feno­meno senza par i, anche se c’è chi continua a morire.
L’ultimo episodio del 2 apri­le scorso quando due perso­ne sono state dichiarate di­sperse, sei ferite e altre 20 trat­te in salvo a Lampedusa. Po­chi giorni prima un’altra im­barcazione con 60 migranti è stata soccorsa 25 miglia al lar­go di Lampedusa: era il 22 marzo. In quel caso alcuni migranti parlarono di tre morti abbandonati in mare durante la traversata di cui non si saputo nulla. Decisa­mente drammatico, poi, il bi­lancio degli stessi mesi del 2009. Esattamente un anno fa tra il 15 e il 16 aprile 140 mi­granti naufragati nel Canale di Sicilia venivano soccorsi dal mercantile turco Pinar e durante le operazioni mori­va annegata una ragazza ni­geriana di 18 anni, incinta. Otto giorni prima soccorsa dal peschereccio mazarese Cesare Rustico, una imbarca­zione carica di migranti si ro­vesciava in mare provocando tre dispersi, tra cui una don­na. Il 3 aprile del 2009 su una imbarcazione con 76 passeg­geri intercettata 60 miglia a sud di Lampedusa ci sono a bordo due cadaveri.
Ma è soprattutto il 29 marzo che la conta dei morti lascia senza fiato: un peschereccio stracarico di migranti affon­da al largo di Said Biilal Jan­zur, sobborgo di Tripoli. Ven­gono recuperati venti cada­veri, 210 sono i dispersi in mare. Nelle stesse ore una im­barcazione con 350 passeg­geri tratta in salvo dal rimorchiatore i­taliano Asso 22. Nove giorni prima, il 20 marzo, al lar­go di Sfax ( Tunisia) erano stati ritrova­ti altri 17 cadaveri, vittime del naufragio di una imbarcazione che navigava sulla rotta per Lampedusa. Almeno 50 i dispersi dichia­rati. Rispetto allo scorso an­no sembrerebbe che il feno­meno nel 2010 si sia ridotto. «Ma quante imbarcazioni ci sono che probabilmente affondano e di cui non si sa nulla?» si chiedono alcuni dei volontari che dalle coste del Ragusano a quelle di Siracu­sa e dell’Agrigentino ogni giorno lavorano con e per i migranti. «Ogni volta i nau­fraghi arrivano in condizioni fisiche peggiori e ci sono morti e dispersi di cui spesso si trova poco o nulla sui mez­zi di informazione». Partico­larmente preoccupante la questione dei respingimenti, soprattutto dei bambini, co­me denuncia all’inizio del 2010 Save the Children da­vanti al Comitato parlamen­tare di controllo sull’attua­zione dell’Accordo di Schen­gen, nel corso del quale l’or­ganizzazione ha chiesto di fermare i rinvii verso la Libia, 1.005 solo da maggio a set­tembre 2009.
Al largo dell’isola 200 blocchi contro i 960 dell’anno scorso Non si arrestano però i drammi L’ultimo episodio il 2 aprile scorso