(15 novembre 2011) 

I giorni sono "complessi e impegnativi", ricchi di rivolgimenti politici e decisioni importanti

che tengono il presidente della Repubblica lontano da qualche appuntamento istituzionale meno pressante.
Ma Giorgio Napolitano non rinuncia al consueto appuntamento con i nuovi italiani, i figli degli immigrati che hanno scelto la cittadinanza italiana, che incontra al Quirinale.


Un appuntamento confermato, per rimarcare, questo il senso delle parole di Napolitano, l'importanza degli immigrati e dei loro figli, un "contributo all'economia", senza il quale sarebbe più gravoso "anche il fardello del debito pubblico". Parla di immigrazione Napolitano. Di un fenomeno che, sue le parole, viene spesso mal valutato, nonostante "non comprendere la portata del fenomeno migratorio e quanto sia un necessario contributo per il paese", sottolinea con forza, "significhi non guardare la realtà".
Sì, perché gli immigrati, prima di tutto, sono forza lavoro giovane, "una grande fonte di speranza", che contribuisce "a darci l'energia vitale di cui abbiamo bisogno", senza il quale, ci tiene a dire, "il nostro Paese sarebbe più vecchio e avrebbe meno possibilità". Il presidente della Repubblica continua poi sullo stesso argomento, sottolineando come ritenga necessaria "una riforma di modalità e tempi di riconoscimento della cittadinanza", che porti a "riconoscere come cittadini italiani i bambini nati in Italia da genitori stranieri".
Un cambiamento forte, teso a dare più possibilità ai giovani, nel senso del suo discorso. Giovani che, conclude il presidente della Repubblica, non devono abbandonarsi all'opinione "troppo pessimistica e abusata che le raccomandazioni servano più dell’impegno personale". Un cambiamento di mentalità che deve però essere associato a un cambiamento del "sistema di assunzioni e promozioni", che deve necessariamente diventare più "trasparenti". E conclude: "bisogna far funzionare l’ascensore sociale che è rimasto bloccato per tanto tempo", promuovendo chi merita e dando una chance in più in questo modo non solo a una politica di equità ma anche alla crescita stessa, smontando "la condizione secondo cui nella nostra società le occasioni siano riservate solo a chi appartenga a certi ambienti".

(Il Giornale.it)